Caos nelle carceri, Bonafede non supera la prova: “Deve lasciare prima di compiere altri disastri”
Ormai sono tutti rientrati nelle loro celle, nei raggi che loro stessi hanno devastato rendendoli quasi inabitabili: e i seimila detenuti che tra domenica e lunedì hanno scatenato la rivolta in ventidue carceri si lasciano alle spalle, insieme a una scia di morti e di macerie, anche un caso politico che rischia di travolgere i vertici dell’amministrazione penitenziaria e lo stesso ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che del sistema carcerario italiano è il responsabile.
Ieri Bonafede va in Parlamento a riferire sulla rivolta, e si tira addosso un’ondata di polemiche sia dall’opposizione, che chiede compatta la sua testa, che da pezzi della maggioranza: Italia Viva chiede che Bonafede cacci il capo del Dap, il dipartimento amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini, un magistrato con la fama da «duro». Stessa richiesta da parte di Giorgio Mulè, portavoce di Forza Italia, che però aggiunge: «Un secondo dopo lo segua anche il ministro, in base al principio di responsabilità».
Il bilancio complessivo, reso noto dal ministro nel suo intervenuto a Palazzo Madama, è di dodici detenuti morti e di quaranta agenti di polizia penitenziaria feriti. In serata si aggiunge un 13esimo morto, un detenuto di Bologna. La maggior parte delle vittime si è registrata a Modena: nove, causate quasi tutte non dal fumo degli incendi, come si era ipotizzato in un primo momento, ma dall’assalto alle scorte di psicofarmaci e metadone nelle infermerie, e subito consumate in quantità inverosimili da alcuni dei rivoltosi. Ma di situazioni totalmente fuori controllo se ne sono vissute in buona parte degli istituti interessati alla protesta. Vi sono state ore drammatiche a Melfi, dove quattro agenti e un gruppo di infermieri sono stati sequestrati e tenuti in ostaggio per tutta la giornata da gruppi di detenuti legati alla criminalità organizzata: e solo dopo lunghe trattative sono stati rilasciati. Per non parlare di Foggia, dove i detenuti si sono impadroniti dell’intero carcere, e una cinquantina di loro è riuscito a evadere: di sedici, ammette ieri Bonafede, non si trova più traccia.
Il problema, come sottolineano le opposizioni, è che l’ondata di rivolte è sembrata quasi ovunque prendere alla sprovvista il Dap, nonostante le avvisaglie che nei giorni scorsi avevano accompagnato il varo delle misure per contenere il coronavirus nelle prigioni. Gli episodi di Napoli e di Salerno, già domenica, dovevano far capire che la tensione stava salendo. E anche a San Vittore, a Milano, nella stessa giornata c’era stata la battitura delle sbarre, il rito che da sempre nelle carceri è il segnale di lancio della protesta. Eppure dal ministero non era partita nessuna delle misure necessarie per prevenire l’esplosione: a partire dalla più ovvia, la non apertura delle celle dopo la notte, o la loro apertura a scaglioni.
Nel suo intervento in aula, il ministro si è limitato a dire che «le rivolte hanno messo in evidenza le già note carenze strutturali del sistema penitenziario», e a rivendicare che «da quando sono ministro ho previsto 2.548 agenti in più». Nessuna traccia di autocritica, nessuna spiegazione di come sia stato possibile che i segnali d’allarme non venissero colti nella loro gravità. Il senatore azzurro Maurizio Gasparri accusa il ministro di «scaricare le colpe su qualche funzionario». «Quanto accaduto – aggiunge Gasparri – certifica ancora di più la sua inadeguatezza, prima lascia meglio è». E la leghista Giulia Bongiorno: «La situazione della giustizia è fuori controllo»
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