Adesso Codogno avverte l’Italia: “Ecco perché dovete ascoltarci”
I varchi non ci sono più, i posti di blocco dell’esercito, della Guardia di Finanza e dei Carabinieri sono stati rimossi. Non esiste più quella che per due settimane tutto il mondo ha conosciuto come “la zona rossa”. Codogno, Casalpusterlengo, Castiglione d’Adda, Somaglia ed altri paesini del lodigiano, dove fino a lunedì 50mila persone hanno vissuto isolate dal resto del mondo, ora sono di nuovo collegati con la Lombardia.
Poche macchine lungo la strada che da Lodi arriva sino a Codogno, l’epicentro dell’epidemia di coronavirus. Sono trascorsi ormai 18 giorni da quando è stato annunciato il primo caso di paziente affetto da COVID-19 nel comune lodigiano. Da quel momento è stato un susseguirsi frenetico di comunicati, direttive, appelli e smentite. Certo è che la vita, per tutti, è cambiata in questo periodo e per rendersi conto dei cambiamenti che ha apportato nell’ordinario di ogni giorno, un punto d’osservazione particolare, è proprio la città di Codogno, dove tutto ha avuto inizio, dove per primi i cittadini hanno familiarizzato con il concetto di zona rossa e con restrizioni che fino al 20 febbraio nessuno, neppure lontanamente, avrebbe immaginato che sarebbero mai state introdotte.
Sono passate poco più di 48 ore da quando è stata smobilitata la ”zona rossa” nel basso lodigiano, e in questa brevissima frazione di tempo è arrivata pure la notizia che a Codogno non si sono più registrati casi di Coronavirus. ”Modello Codogno” è lo slogan delle ultime ore, soprattutto dopo che il primo cittadino Francesco Passerini ha così parlato all’Agi: ”Quando l’ho saputo, ho pensato che abbiamo dimostrato che vincere si può e si può farlo solo seguendo il nostro esempio. I numeri sono finalmente quelli che speravamo, visto il grande senso di responsabilità che abbiamo dimostrato, il ferreo rispetto delle regole e la forza di comunità che si è sviluppata nel nostro territorio”. E poi ha proseguito dicendo: “Siamo sempre in guerra, abbiamo 170 persone risultate positive, bisogna continuare con le pratiche che abbiamo sperimentato e metabolizzato. Anche oggi a Codogno c’è in giro pochissima gente, i negozi sono chiusi per scelta propria. Tutti sanno che possono salvare delle vite e che la disattenzione di uno può fare del male ai più deboli, portandoli anche alla morte”.
La città è cambiata, poche persone nelle strade e tutti in paese indossano una mascherina. Nessuno passeggia per le vie del centro o in piazza senza le dovute precauzioni e, a differenza dei toni entusiastici della stampa, la popolazione ora si sente più vulnerabile di prima e nessuno vuole abbassare la guardia nonostante la rimozione dei check point. ”E’ stato un errore quello di togliere la zona rossa. Eravamo disposti a un ulteriore sacrificio, a rimanere ancora isolati, in questo modo invece il rischio è che il nostro sforzo di due settimane venga vanificato”.
A parlare e spiegare la situazione è Andrea Cortesi, gestore di una tabaccheria. Fuori dal locale una fila di persone attende pazientemente il proprio turno. Nessuno si lamenta dell’attesa e tutti rispettano il metro di distanza da mantenere in via precauzionale. Il titolare intanto prosegue: ”Noi, ora più di prima, non dobbiamo venire meno alle misure preventive da adottare. Non siamo più protetti dalla zona rossa e quindi, a causa degli spostamenti, compresi quelli lavorativi, possiamo essere esposti a nuove infezioni. In tabaccheria entra soltanto una persona per volta e ci limitiamo alla vendita delle sigarette e delle ricariche telefoniche. Abbiamo disattivato le macchinette e non svolgiamo più quei servizi che richiedono troppo tempo, dobbiamo ridurre all’essenziale il contatto tra le persone”.
Il sentore che la rimozione dei varchi sia stato un errore è molto diffuso in paese. Una donna, che attende il suo turno fuori dalla farmacia di via Verdi, si sfoga dicendo: ”Perché l’hanno fatto? Così si tornerà al punto di partenza. I lavoratori si muovono, la gente si sentirà più sicura e avrà meno accortezze, e il rischio che ci siano nuovi contagi è alto. È stato un errore esultare adesso, dovevamo adottare misure radicali ancora per un po’ e poi con forza e tutti insieme avremmo risposto a questa situazione”.
È un paese dove la gente vive con attesa e rigore da assediati: una coppia di genitori parla al figlio dalla finestra e raccontano che sono più di due settimane che comunicano così, i discorsi vertono tutti intorno all’infezione e gli esercenti come la gente ai bar chiede informazioni su amici e parenti ammalati.
“La voglia di tornare alla normalità è evidente, traspare in tutti i cittadini ma siamo tutti consapevoli del fatto che questo è un momento molto delicato e che non possiamo distrarci o affrontarlo con leggerezza”. A parlare è Emilio Coldani titolare di un bar in piazza. “La gente a Codogno è encomiabile, tutti rispettano le regole. I primi giorni c’era paura in paese, poi come per tutte le cose ci si abitua. Io sono ottimista perché vedo la volontà nelle persone di voler superare questo momento e perché il comportamento collettivo è stato impeccabile. Certo è che non possiamo sentirci fuori pericolo anche se la zona rossa è stata rimossa”. Le persone che si incrociano sono poche, in molti non si sentono ancora al sicuro e chi esce per le vie del centro lo fa più per necessità che per riavvicinarsi a una normalità che viene raccontata all’imperfetto in un tripudio di nostalgia.
È una donna, all’uscita della farmacia del paese, interrogata su cosa sia il “modello Codogno” a dare una risposta definitiva, lapidaria, immediata e che non accetta repliche. “Il ‘modello Codogno’ non è altro che l’aver vissuto prima di altri il disagio e il dolore provocato da quest’infezione. È per questo, perché sappiamo che cosa vuol dire e non vogliamo che altri lo vivano, che ci permettiamo di dare consigli e mettere in allerta il paese. Noi, che abbiamo perso la nostra quotidianità, ci siamo sacrificati e siamo disposti a farlo di nuovo se serve, ma l’Italia intera deve ascoltarci perché se questa epidemia non finisce la gente non immagina neppure i problemi a cui dovrà far fronte. Fidatevi di noi, di me, che ho dovuto dire per ben due volte a mio marito che le sue sedute di chemio e radioterapia erano state rinviate a causa dell’aumento dei casi di Coronavirus”.
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