Incostituzionale negare la casa agli stranieri, la Consulta spalanca le porte agli irregolari
La nuova sentenza della Corte costituzionale è destinata a far discutere. La Consulta ha infatti stabilito, con la sentenza 44 depositata lunedì 9 marzo, che «è irragionevole negare l’accesso all’edilizia residenziale pubblica (ovvero le case popolari) a chi, italiano o straniero, al momento della richiesta non sia residente o non abbia un lavoro nel territorio della Regione da almeno cinque anni».
La relatrice, Daria De Pretis, ha esposto i termini della decisione spiegando come la censura fosse stata sollevata dal Tribunale di Milano sul requisito «della residenza o dell’occupazione ultraquinquennale stabilito dalla legge della Regione Lombardia 16 del 2016 per accedere ai servizi abitativi (articolo 22, primo comma, lettera b)». Come si legge nelle motivazioni, «questo requisito, infatti, non ha alcun nesso con la funzione del servizio pubblico in questione, che è quella di soddisfare l’esigenza abitativa di chi si trova in una situazione di effettivo bisogno». Il requisito delle residenza per 5 o più anni, insomma, ai fini della concessione dell’alloggio popolare non ha giustificazione perché non costituisce indice «di un’elevata probabilità di permanenza», ma anche perché il fatto che il richiedente sia radicato sul territorio non costituisce metro per l’esclusione dal diritto di avere un alloggio.
Il periodo di cinque anni potrebbe quindi essere fondamentale solo per la formazione delle graduatorie. Per la Corte la norma viola i principi di uguaglianza e ragionevolezza perché discrimina una fascia di persone. Oltretutto, secondo i giudici che hanno emesso la sentenza, quella stessa norma va a contrastare anche con il principio di uguaglianza sostanziale, perché il requisito temporale richiesto contraddice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica. Un problema, quello delle case popolari, molto sentito anche a causa del numero degli stranieri che negli anni hanno superato per assegnazioni e in graduatoria moltissimi cittadini italiani.
La legge in questione era stata approvata nel 2016 dal governo presieduto da Roberto Maroni e guidato dalla Lega, che tutt’oggi è al governo della Regione Lombardia. Nella stessa come requisito si richiedeva la prova della «residenza anagrafica» per accedere alla graduatoria per le case popolari. Il requisito andava a escludere gli extracomunitari che da poco sono sul territorio nazionale. Requisito che aveva fatto scaturire la protesta di numerose associazioni legate al mondo dell’accoglienza. Già alcuni anni fa proprio la Lega aveva proposto di estendere la durata della permanenza sul territorio a 15 anni. Ora, però, con questa sentenza si va ad annullare la possibilità che i cittadini italiani possano avere la priorità sugli stranieri. Con la conseguenza di inevitabili proteste e polemiche che, questo è certo, potranno scaturire sia da parte di chi difende il diritto alla casa per i residenti che degli stessi richiedenti.
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