Quei morti con il Coronavirus senza il “conforto” di un funerale
La morte arriva e di questi tempi non lascerà nemmeno il conforto di un funerale.
Il decreto varato dal governo, come è noto, fino al 3 aprile proibisce in modo chiaro tutte le celebrazioni religiose, inclusi i funerali. Una misura dovuta al rischio contagio da Coronavirus per limitare la diffusione del virus. Ma al netto delle disposzioni che, ribadiamo, sono fondamentali per interrompere la catena di contagi, in queste settimane si assisterà ad un triste paradosso: chi morirà e chi muore col coronavirus non avrà nemmeno l’ultimo saluto da parte dei propri familiari. Le misure infatti impediscono gli assembramenti e un funerale in una chiesa affollata rientra in questa categoria. Le parole del decreto sono gelide e chiare: “Nelle zone rosse, prevede la bozza di Dpcm per le zone rosse, sino al 3 aprile sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”. Una mossa che di fatto cambia anche la percezione della vita per chi resta e della morte per chi lascia questo posto. In questi giorni siamo stati abituati a vedere le immagini di assalti ai supermercati, di medici vestiti con tute antisettiche, di assalti alle stazioni. Nella morte senza funerale invece ci sarà poco rumore. Solo silenzio.
Un silenzio che incontra il dolore di chi, già provato per aver visto un familiare lottare contro “patologie pregresse” e virus, dovrà fare i conti con un addio senza gesti, senza preghiere, senza un’ultima cosa da dire da un pulpito che questa volta(e chissà fino a quando) resterà vuoto. Questi morti da bollettino quotidiano della Protezione Civile sono diventati già un numero. Sono diventati una “categoria” a volte definita come “ultra ottantenni” (manco fosse una colpa vivere fino a quella età). Ora diventeranno ancora di più anonimi in questo flusso di sepolture senza funerali che accompagnerà questo marzo tutta la Lombardia e altre 14 province. L’umanità cristiana viene messa da parte per salvare l’umanità fisica di milioni di cittadini italiani. Non è stata chiusa una regione. È stata chiusa anche la porta di Dio per chi ci lascia. Un ultimo sacrificio sull’altare di una corsa contro il tempo per impedire che questo tsunami travolga definitivamente chi invece prova ad andare avanti in un Paese che deve cercare di essere onesto e soprattutto fermamente convinto delle regole che si è dato per tornare il prima possibile alla vita. Ma anche per tornare alla normalità di un saluto, seppur triste, a chi non è più tra di noi.
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