Sulla metro tra starnuti e sospetti

Scorrono le notizie sul display del cellulare e il bollettino è sempre più sfinente: «Un altro contagiato».

A questo punto la saturazione e un leggerissimo sisma emotivo fanno per la prima volta capolino. Magari per giorni, a qualcuno le persone con le mascherine in strada oppure sui mezzi pubblici saranno sembrate «marziani», e c’è chi tra sé e sé si sarà detto «ma dai, non è un po’ esagerato tutto questo? Sembra un brutto film. Se la metto quella roba in faccia che figura ci faccio…». Ma ieri il «bollettino di guerra», con la sua forza invisibile, ce l’ha fatta, ha dato l’ultima spinta per farla indossare – quella protezione – pure allo scettico patentato di turno. Già, una storia così, che giorno dopo giorno sta cambiando il modo di vivere.

Andare al lavoro nel tempo del Coronavirus, a Milano giù per la metropolitana, non durante la classica ora di punta, ma in un orario nel quale nei momenti della cosiddetta normalità, di viavai di varia umanità comunque ce n’era, eccome.

Sono le 12,15, nella Mm verde di Famagosta, una fermata crocevia. Presenze: quattro gatti, la metà con le mascherine appunto, un paio di asiatici. Un selfie per testimoniare la desolazione di un’attesa che dura una manciata di minuti.

Il treno arriva, destinazione da raggiungere «Cadorna», non molte fermate ma abbastanza per farsi un’idea su che aria tira. Sulla metropolitana di «gatto» ce ne è qualcuno in più; si sta rigorosamente distanziati, con la proporzione matematica, «una seduta occupata e due libere», forse non sarà proprio la «misura giusta» raccomandata, ma parrebbe bastare. Fa capire che il timore non è una barzelletta, non proprio. Le mascherine sui vagoni non rappresentano la maggioranza, sono però sufficienti a fare una sorta di rassegna.

C’è la color verde usata nelle chirurgie, quella sobria da farmacia, qualcuno non trovando nulla di meglio, si è arrangiato persino con il modello da muratore. In mancanza dell’articolo, signore e ragazze sprofondano nelle sciarpe, lasciando fuori soltanto gli occhi.

A un certo punto qualcosa che fa «orrore». Un tizio starnutisce portando la mano aperta sul naso, poi con la stessa si aggrappa a un sostegno, che viene bagnato. In altre epoche chiunque sarebbe rimasto sul suo telefonino. La scena provoca occhiate di disagio, disapprovazione, un passeggero è visibilmente disgustato. Fermata «Cadorna», le gente esce dribblando il potenziale untore, si aggiustano maschere e mascherine che dalla faccia tendono a sgusciare. Tutti distanziati come soldatini vanno di buon passo, stando attenti a non incontrare un altro starnuto, di buona lena verso l’ufficio. Anche qui la vita è cambiata (se le aziende non sono state chiuse momentaneamente): sui tavoli da lavoro non «aspettano» solo computer e scartoffie, in molti casi anche una bella boccetta di gel sanificatore.

il giornale.it

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