“Siamo davanti al baratro Chi chiude non aprirà più”
«Siamo tutti nella palta. Se si ferma la Lombardia, si ferma l’Europa». Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, non si nasconde dietro un dito e non usa mezze misure per descrivere la situazione tragica di tutte le imprese che operano nella regione «locomotiva» d’Italia.
«L’epidemia di Coronavirus ha assunto dimensioni tali che non si può considerarla un problema solamente italiano, dovrebbe essere affrontata a livello europeo», aggiunge.
Presidente Bonometti, quali sono i primi impatti della crisi?
«Il turismo e i trasporti sono fermi. Le prenotazioni sono a zero. Bisogna garantire alle imprese la sopravvivenza senza creare equivoci e contraddizioni come accaduto negli ultimi giorni. Occorrono pochi regole, ma precise».
Questo vuol dire che siamo sull’orlo del baratro?
«Sì, perché se le imprese chiudono non riaprono più. I danni ormai sono difficilmente recuperabili non solo dal punto di vista del fatturato, ma soprattutto da quello dell’immagine».
Ci può spiegare meglio?
«Ormai le filiere produttive sono globalizzate. Dunque se un’impresa lombarda viene paralizzata nell’operatività a causa della crisi scatenata dall’epidemia rischia un duplice danno. In primo luogo, se non può rispettare le commesse, il cliente si rivarrà legalmente per la mancata fornitura. In secondo luogo, cercherà un fornitore dello stesso prodotto altrove perché il nostro Paese e le sue aziende non vengono più ritenuti affidabili all’estero».
Cosa è stato sbagliato in questi giorni?
«Direi che si è sbagliato sin dall’inizio dell’emergenza in Cina. Abbiamo bloccato i voli da e per il Paese asiatico e oggi i nostri collaboratori non possono più recarsi non solo in Cina, ma anche in India e negli Stati Uniti. Inoltre, poiché abbiamo dato la percezione di essere in balia del contagio, non solo i turisti non vogliono venire in Italia, ma anche gli addetti alla manutenzione degli impianti industriali, molto spesso tedeschi».
L’intervento del governo, che varerà un decreto emergenziale ad hoc con cassa integrazione ed estensione del Fondo di garanzia per le Pmi, non è sufficiente?
«Le misure sono condivisibili, ma devono avere una portata ancora più ampia e una durata più lunga. Un’altra misura necessaria sarebbe il rispetto dei tempi di pagamento da parte della pubblica amministrazione».
E sul fronte delle infrastrutture?
«Innanzitutto serve una legge unica che abroghi tutte e precedenti per rilanciare le grandi opere. Gli investimenti ci potrebbero consentire di recuperare il gap di fatturato che perderemo con l’estero».
Cosa intende per coinvolgimento europeo?
«Ci dovrebbe essere una maggiore consapevolezza di questo fenomeno e intervenire in maniera coordinata. Invece ognuno va in ordine sparso».
Anche l’Italia non ha brillato per capacità di coordinamento al suo interno.
«Ci sono troppe persone che chiacchierano e nessuno che decida. Tutti sono diventati esperti di sanità, ma poi nessuno si assume le responsabilità, Credo che ci vorrebbe un commissario unico per la sanità e un commissario unico per la protezione civile in modo da evitare impasse».
Che cosa si potrebbe fare, dunque?
«Sarebbe, ad esempio, positivo se lo Stato acquistasse tutta a capacità produttiva in ambito sanitario per far fronte all’emergenza: non solo mascherine protettive e altri dispositivi, ma anche ambulanze e macchinari per la rianimazione. Non sarebbe un sussidio inutile perché tutte queste dotazioni rimarrebbero in capo a una sanità più efficiente e più ricca di mezzi».
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