L’Anpi diffamò la Caramella Buona: e adesso finalmente paga
Se un magistrato condanna l’Anpi vuol dire che l’hanno fatta proprio grossa, in questo caso contro l’associazione La Caramella Buona. E se si tratta di una diffamazione non ci meraviglia affatto, perché prima o poi si dovranno togliere il vizio.
E’ una storia incredibile quella finita con il giudizio nel tribunale di Reggio Emilia, con l’associazione partigiani – quanti ce ne saranno ancora? – pizzicata ad insolentire una associazione benemerita. Che dovrebbe essere un vanto per tutti per la lotta alla pedofilia che conduce da tantissimi anni.
L’Anpi contro la Caramella Buona
Eppure i partigiani dell’ultima ora hanno avuto da ridire pure con la Caramella Buona presieduta da Roberto Mirabile. Questa storia l’ha raccontata l’avvocato Monica Nassisi (nella foto con Mirabile), del foro di Roma, a Sergio Marchi per il sito 7colli e merita di essere rilanciata. Perché al peggio non c’è mai fine.
Tutto risale al lontano 2015: “La Caramella buona stava organizzando un evento a Milano, tra l’altro patrocinato dalle istituzioni locali. Come successo innumerevoli altre volte. Ma scoppiò la bomba, lanciata direttamente dalle sezioni ANPI di Milano e di Brescia. Quel convegno contro la pedofilia non si doveva più fare. Perché sarebbe stato sponsorizzato da pericolose associazioni di stampo fascista”.
In pratica veniva insinuato il sospetto che la Caramella Buona fosse una sorta di copertura per associazioni e attività di estrema destra che si svolgevano in giro per l’Italia. Una clamorosa invenzione, contro la quale l’avvocato Monica Nassisi che cura la gran parte degli aspetti legali connessi all’attività dell’associazione si è subito scagliata con forza.
E ora deve sborsare ben ventimila euro
Il Tribunale ha riconosciuto a carico dell’ANPI il reato di diffamazione a mezzo stampa nei confronti della Caramella Buona, condannando l’associazione che rappresenta i partigiani d’Italia a un risarcimento di 20,000 euro. Una somma notevole che raramente i giudici liquidano in cause di questo tipo. E nessuna distinzione tra ANPI locali e nazionale. La cosa più importante è che abbiamo affermato un principio, conclude la Nassisi. Che nessuno, nemmeno gli eredi dei partigiani possono mettersi al di sopra della legge. E gettare fango su chi svolge con competenza e onestamente il proprio lavoro.
Oggettivamente una soddisfazione collettiva, potremmo aggiungere. Perché magari la smettono con il vizio dell’attacco inconcludente e cattivo che non paga mai.