La carica degli ultras di Bruxelles di fronte al coronavirus
Nel bel mezzo della stagione del coronavirus c’è anche chi approfitta della delicata situazione sanitaria per santificare l’Unione europea. Sono proprio loro, gli “ultras di Bruxelles“, che hanno già iniziato a lanciare messaggi ambigui. In prima fila c’è il presidente del Parlamento Ue, David Sassoli (“Nessun Paese può farcela da solo. Schengen resti”) poi ci sono altri addetti ai lavori, fra cui numerosi giornalisti, che hanno già messo le mani avanti (“L’Unione non ha colpe sul virus”).
Altro che chiudere i confini e sospendere Schenghen: la ricetta giusta è unirsi ancora di più per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Peccato, poi, che la realtà dei fatti dica altro, e cioè che ognuno prosegue dritto per la propria strada infischiandosene del senso dell’Unione sbandierato ai quattro venti. In altre parole, ogni Stato membro dell’Ue sta gestendo la piaga Covid-19 a sua discrezione.
Facciamo due esempi. La Francia ha puntato tutto sui rientri dalla Cina pianificati e sulla quarantena obbligatoria per quei viaggiatori provenienti dai Paesi a rischio. L’Italia ha agito diversamente: Roma ha sospeso i voli da e per la Cina ma non ha imposto alcuna quarantena ai rientranti (si è visto come è andata finire, ma quello è un altro discorso).
Insomma, alla fine della fiera il ritornello è sempre lo stesso. Di fronte a un’emergenza, qualunque essa sia – dall’immigrazione al coronavirus – la risposta che deve obbligatoriamente essere data è una e una soltanto: serve più Europa.
“Serve più Europa”
Il problema è che affrontare le varie emergenze al grido di “più Europa” comporta una controindicazione non da poco: una minore sovranità per i singoli Paesi membri dell’Unione europea. Magari lì per lì nessuno ci fa caso, preso com’è dall’emergenza in corso. Ma dopo, terminata l’allerta, il danno è fatto, la sovranità è evaporata e indietro non si può tornare.
Una delle tesi ricorrenti è che la sanità non può essere lasciata nelle mani dei governi sovrani; al contrario, se il problema è globale anche la risposta deve essere altrettanto globale. La soluzione è chiara: più Europa. Un’altra tesi, invece, incolpa i singoli governi nazionali, responsabili di aver messo in campo reazioni scoordinate, tanta improvvisazione e ben poca trasparenza di fronte al Covid-19.
È sottinteso che se la situazione fosse stata gestita dall’Unione europea, tutto questo non sarebbe mai accaduto. Il citato Sassoli, intervistato da La Stampa, è esplicito: “La credibilità se la giocano gli Stati, più che l’ Unione. Se non sono disponibili a trasferire i loro poteri, come potrà la Ue rispondere alle loro difficoltà?”. Dulcis in fundo, mettere in discussione Schengen – un accordo sulla libera circolazione senza il quale tornerebbero i controlli alle frontiere – per Sassoli “non ha senso”: “Quello che conta è che l’Europa abbia capacità di coordinamento delle misure comuni”.
Chissà se in tutto questo Bruxelles sarà disposta a concedere all’Italia, la più colpita d’Europa dal coronavirus (terza al mondo), maggiore flessibilità sul deficit.
Un’unione solo di fatto
Nel frattempo il ministro della Salute italiano, Roberto Speranza, ha fatto il punto della situazione assieme ai suoi omologhi europei di Francia, Austria, Croazia, Germania, Slovenia, Svizzera e San Marino. Presente anche la Commissaria europea alla Salute, Stella Kyriakides. Risultato: è stato partorito un documento nel quale si sottolinea come sia necessario “mantenere i confini aperti” perché chiuderli sarebbe “una misura sproporzionata ed inefficace in questo momento”.
Altro che quarantena: i Paesi europei devono unirsi in nome dell’Unione europea. In questo caso l’emergenza coronavirus viene utilizzata come una leva capace di consolidare in maniera pressoché forzata l’appartenenza al club di Bruxelles. Emblematica la spiegazione di Walter Ricciardi, rappresentante dell’Italia allOms: “Intanto abbiamo scongiurato il pericolo maggiore, quello di rimanere isolati al resto d’Europa sulla spinta che l’opinione pubblica sta esercitando sui governi dei singoli Stati”.
Sarà pur vero, come ha aggiunto Speranza, che i “Paesi europei si fidano di noi” ma intanto gli italiani all’estero sono visti sempre più con maggiore diffidenza. Molti governi stranieri hanno addirittura equiparato i viaggiatori provenienti dalle zone rosse d’Italia a quelli di Cina, Hong Kong e Macao. Alla faccia del “più Europa”.
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