Giuseppi nel pallone non sa chi attaccare
Neanche 48 ore e, come nella migliore tradizione italiana, gli accorati inviti all’unità nazionale sono andati a farsi benedire anche davanti ad un’emergenza planetaria come il Coronavirus.
A menar fendenti, ancora una volta, è la Lega di Matteo Salvini, questa volta nella persona del governatore della Lombardia Attilio Fontana. Ma ad aprire le danze è un improvvido Giuseppe Conte che – forse complice anche la tensione di queste ore – ha pensato bene di puntare il dito contro «un ospedale che non ha rispettato i protocolli» e ha così «contribuito alla diffusione» dei focolai. Non fa nomi il premier, ma è evidente che si riferisce ad una delle strutture del Nord interessate dai contagi, quasi certamente il presidio medico di Codogno. Non proprio il modo migliore per cementare quella pax tra governo e regioni che proprio Conte aveva invocato come primo strumento per combattere la diffusione del virus. È di tutta evidenza, infatti, come non sia questo il momento di verificare o attribuire responsabilità, soprattutto pubblicamente. Per non parlare del rilievo che i media stranieri danno alle sue parole. «Italy scrambles to contain Coronavirus outbreak after admitting hospital mess-up» («L’Italia si affretta a contenere l’epidemia di Coronavirus dopo aver ammesso un pasticcio in ospedale»), titolava ieri impietosa la Cnn. Insomma, un gigantesco autogol. E non contento, a conferma di una scompostezza che non gli è consueta, il premier è arrivato ad ipotizzare di «contenere le deleghe delle regioni» così da coordinare da Palazzo Chigi l’azione di prevenzione. Un affondo che ha acceso i governatori del Nord, Attilio Fontana e Luca Zaia su tutti, da sempre molto sensibili al tema dell’autonomia regionale, soprattutto in materia di sanità.
Quello del presidente del Consiglio, insomma, è stato un evidente scivolone che ha avuto come inevitabile conseguenza il durissimo attacco di Fontana e le critiche della Lega e di buona parte dell’opposizione. A Palazzo Chigi, però, ieri sembravano aver preso consapevolezza della gigantesca cantonata, perché è evidente che chi teorizza la collaborazione istituzionale e si vuole proporre con l’autorevolezza di un premier super partes non può incorrere in errori così grossolani. Arrivare solo a ipotizzare di commissariare di fatto l’autonomia di Lombardia e Veneto, infatti, è politicamente un atto ostile. Non è un caso che Salvini non abbia perso l’occasione per affondare il colpo su quello che ormai è il suo nemico numero uno. «Conte evoca i pieni poteri, ma io – attacca – sto dalla parte dei governatori e degli amministratori locali, tutti stupiti dalle esternazioni del premier». Che non a caso, tramite Palazzo Chigi, cerca di aggiustare il tiro e fa sapere di essere «soddisfatto» della collaborazione con le regioni interessate all’emergenza.
A fine giornata – dopo che è rientrato lo scontro con Fontana e dopo una telefonata con Salvini che fonti di governo definiscono «cordiale» – la tensione va scemando. Ma è inutile dire che la rottura tra il premier e la Lega è ormai insanabile. E peraltro non da oggi. Insomma, per il momento si butta la polvere sotto il tappeto in attesa di tempi migliori. Nella speranza che questa volta la tregua possa durare più di 48 ore. E che il presidente del Consiglio che ambisce ad essere terzo abbia la lucidità che gli è mancata lunedì scorso. Non è facile, certo. Perché è del tutto evidente che la pressione sul governo in queste ore è altissima. Oltre ai focolai al Nord, infatti, c’è il timore che si possa aprire un fronte a Roma, città considerata di fatto ingestibile già in condizioni normali. Il tema è stato oggetto di diversi confronti tra Palazzo Chigi, la task force della Protezione civile e il ministero della Sanità. E tutti sono stati concordi nel dire che una simile eventualità «va scongiurata a tutti i costi».
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