“Anziani e con altre patologie pregresse. Sono loro i bersagli mortali del virus”
Le sei vittime lombarde sono tutte anziane e con un quadro clinico già compromesso. Sono quindi state loro il bersaglio più facile del coronavirus.
Per capire meglio le modalità con cui si sta diffondendo il virus, abbiamo chiesto chiarimenti a Alessandro Zanetti, professore emerito di Igiene e medicina preventiva all’università degli Studi di Milano.
L’infezione colpisce più facilmente gli anziani?
«Colpisce tutti, anche i quarantenni, come nel caso di quello che viene considerato il paziente uno, di 38 anni. Ma ovviamente per gli anziani è più spesso letale, soprattutto quando riguarda soggetti che hanno già altre patologie: ad esempio i cardiopatici, i diabetici. È stato chiaro fin da subito, analizzando i dati a Whan, che i soggetti più debilitati sono quelli più a rischio per le forme di polmonite più gravi. Consideriamo che dopo i 65 anni il sistema immunitario perde la sua capacità di risposta agli attacchi dei virus».
I bambini invece sembrano salvi. Anche quando hanno un sistema immunitario fragile. Possiamo stare tranquilli?
«Anche in Cina non ci sono stati casi tra i bambini. Non si è capito come mai e bisogna verificare se ci sono stati dei casi asintomatici. La Sars aveva colpiti i bambini con forme lievi».
Ci sono altre analogie con la Sars?
«La Sars aveva una minor capacità di trasmissione ma era letale nel 10% dei casi. Il coronavirus si diffonde più velocemente ma è mortale per il 2% dei contagiati. La Mers invece, che si è diffusa in Medio Oriente, aveva una trasmissione più bassa ma una mortalità al 30%».
Alcuni virologi sostengono sia poco più di un’influenza. Ma ha senso paragonare le due malattie?
«Ci sono molte differenze. Innanzitutto perché l’influenza la conosciamo molto di più, anche se ogni anno ci sorprende con forme nuove, ed abbiamo un vaccino. Il coronavirus è un virus a Rna, soggetto a mutazioni molto rapide. Insomma, è più abile nel colonizzare soggetti da parassitare rispetto ai virus a Dna, più stabili, come ad esempio l’epatite B o la mononucleosi».
Vuol dire che il virus si evolve?
«Per quel che ne sappiamo sì. E dietro a questa sua caratteristica c’è un rischio: sviluppare un vaccino che arrivi in ritardo rispetto alla sua mutazione».
Quindi il vaccino, atteso fra un anno, potrebbe essere inutile?
«Dipende. Ciò che è evidente è che per avere un vaccino sicuro sull’uomo ed efficace servono numerose verifiche, prima sugli animali e poi sull’uomo. Ci vuole tempo, inevitabilmente. Nel frattempo il virus si potrebbe rafforzare».
Cosa fare nel frattempo?
«Mettiamo in conto che avremo una convivenza forzata con il virus per un paio di anni. Per questo è molto importante, soprattutto in questa fase, rispettare le misure per cercare di contenere il contagio. Una delle poche armi che abbiamo in mano è l’alleanza tra i sistemi sanitari e i cittadini che devono fidarsi e collaborare».
Secondo lei è così importante trovare il paziente zero?
«Sarebbe utile ma può anche essere che il portatore del virus fosse in Italia già da un po’ rispetto alle prime diagnosi. Ho dubbi anche sul paziente uno. Ci si era sbagliati anche ai tempi dell’Aids».
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