Tende-triage fuori dagli ospedali E c’è un piano per usare gli hotel
Arrivato al terzo giorno di allarme rosso, Angelo Borrelli – il capo della protezione civile, l’uomo sulle cui spalle grava per buona parte il compito di coordinare l’emergenza – riemerge dalla sala operativa di via Vitorchiano solo per due brevi faccia a faccia con la stampa: comunicazioni secche, nessuna domanda, le parole misurate una per una.
Nella seconda, Borrelli si limita a fornire i dati aggiornati alle 18, quelli che portano a 152 i casi di infezione. Poi si ritira, in serata ha in agenda un nuovo vertice con il premier Giuseppe Conte, con cui ha già fatto il punto della situazione intorno a mezzogiorno.
Dalla plancia di comando, Borrelli fa i conti minuto per minuto con la evoluzione dell’allarme. È il primo a rendersi conto che a questo punto non ci sono più certezze né zone franche. E infatti quando spiega che per adesso a venire circondate e isolate saranno solo le due zone di focolaio individuate per prime, quella nel Lodigiano e a Vo’ Euganeo, si guarda bene dall’escludere che la stessa sorte possa toccare ad altri territori: «È una valutazione – dice – che faremo con il comitato tecnico scientifico e le regioni. Per il momento le aree sono quelle indicate». Significa che di fronte a concentrazioni significative di nuovi casi, altre cinture sanitarie potrebbero scattare per impedire o almeno rallentare il propalarsi dell’epidemia. Il messaggio non passa inosservato, tanto che poco dopo il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, deve precisare che tra gli scenari possibili non c’è quello di blindare l’intera Milano: «Sarebbe impensabile», spiega il governatore.
Che ci si debba preparare a situazioni difficili da gestire, però, lo ammette anche Fontana, «il numero sarà molto rilevante». Così la Protezione civile, insieme ai vertici delle regioni già coinvolte, si sta preparando ad affrontare la fase – che potrebbe non essere lontana – in cui il numero degli infettati supererà la capacità di accoglienza degli ospedali. Per garantire un posto letto a tutti i malati di coronavirus la prima soluzione sarà utilizzare le caserme: «Sono già disponibili migliaia di posti in decine di strutture militari», spiega Borrelli, specificando che l’esercito ha già garantito oltre mille camere per un totale di 3.412 posti e l’aeronautica 1.750. Dall’elenco manca la Marina ma se la situazione dovesse richiederlo è possibile che anche una o più navi militari possano essere messe a disposizione per mettere in quarantena gli infetti o sospetti tali.
La seconda risorsa su cui la Protezione civile intende appoggiarsi sono gli alberghi, che verrebbero requisiti fino al temine dell’emergenza. «Abbiamo fatto inoltre una ricognizione con le regioni per gli alberghi – ha spiegato Borrelli – e siamo pronti ad utilizzarli». In Lombardia è già iniziata la ricerca di hotel adatti alla bisogna. Ma è chiaro che tutte queste sistemazioni non ospedaliere possono essere utilizzate solo per una parte delle vittime, quelle che sono attualmente destinate al ricovero semplice (55 fino a ieri sera, oltre ai 27 indicati «in osservazione») che hanno sviluppato una forma soft della malattia, mentre per la terapia intensiva non si potrà fare a meno di reparti specializzati. Per questo la squadra di Borrelli e gli assessorati regionali stanno lavorando all’allestimento di tendopoli da affiancare agli ospedali, in modo da allentare l’affollamento e riservare ai malati più gravi i posti disponibili. La prima è già stata creata all’esterno del nosocomio di Schiavonia, in Veneto, unicamente come punto d’appoggio per il personale sanitario. Altre ne verranno create in Piemonte, all’esterno di tutti i Pronto soccorso, e saranno destinate al pre-triage, in modo da individuare i cittadini infetti prima dell’accesso alla struttura ospedaliera e del contatto con gli altri pazienti.
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