Perché se lo stragista è bianco è “razzista”, ma se è immigrato è solo un “disturbato”?
Roma, 21 feb – La strage di Hanau, in Germania, ha risollevato una problematica che, in realtà, riguarda più il mondo mediatico che le dinamiche politico-sociali della nostra epoca. Ricapitolando brevemente: un cittadino tedesco, Tobias Rathjen, ha preso d’assalto tre locali di narghilè frequentati dalla comunità curda, uccidendo chiunque gli capitasse a tiro. Alla fine si conteranno nove morti, più quattro feriti gravi. Lo stragista verrà ritrovato morto a casa sua, con accanto la madre, anche lei uccisa dal killer prima di suicidarsi. In seguito verranno recuperati video in cui l’uomo esponeva i suoi deliri complottistici – video da cui emerge chiaramente la sua personalità ossessiva, squilibrata e paranoide (uccidere la madre, del resto, non testimonia a favore della sua sanità mentale).
L’ipocrisia della sinistra
Ora, le dinamiche della strage di Hanau sono effettivamente agghiaccianti, e una condanna dell’insano gesto non è solo doverosa, ma anche spontanea. Il problema, semmai, è la lettura che i media occidentali stanno fornendo dell’accaduto. Per esempio, stamani Repubblica ha dedicato l’apertura del giornale alla notizia titolando Strage razzista, con commento di Gad Lerner che – paragonando la strage di Hanau a quella di Traini – ci assicura che «dietro alle turbe psichiche del singolo killer si riconosce il disegno pianificato di un’estrema destra che sente ritornato il momento propizio». E poco importa che gli inquirenti abbiano confermato che Rathjen era un «lupo solitario», non certo il membro di una cellula neonazista. No, il gesto dello stragista di Hanau non è, anzi non deve essere il gesto di uno squilibrato, ma il sintomo di una «malattia» (il razzismo) che impregna tutte le nostre società. Di qui l’esortazione – raccapricciante – dell’ineffabile Claudio Cerasa, direttore del Foglio: «E ora parlateci di Hanau». Come se la strage della cittadina tedesca fosse anche solo lontanamente paragonabile alla richiesta di giustizia per lo schifo di Bibbiano.
Il colore della pelle dello stragista conta, eccome
Il meccanismo, d’altronde, lo conosciamo. Quattro idioti disegnano una svastica sul muro? L’antisemitismo è tornato. Un pazzo uccide degli immigrati? Il nazismo è alle porte. Il sottotesto è evidente: visto che Tobias Rathjen era contro l’immigrazione, allora chiunque sia contrario all’immigrazione è un potenziale Tobias Rathjen. Se questa pratica non fosse schifosa, potremmo limitarci a dire che è quantomeno disonesta. E pure ipocrita: ogni volta che un immigrato commette una strage, si chiami Kabobo o Ousseynou Sy, per la stampa mainstream si tratta sempre e solo di un «disturbato». E chi dice che l’immigrazione è perlomeno «criminogena» non può che essere un razzista. Eccolo, il gioco delle tre carte: se lo stragista è bianco, tutti i bianchi sono potenzialmente dei razzisti; se il killer è un immigrato, invece, è solo un povero squilibrato su cui non è lecito generalizzare.
Due pesi e due misure
Ebbene, questo gioco delle tre carte ha stufato. Nessuna persona normodotata ha mai sostenuto che tutti gli immigrati siano criminali. Allo stesso modo, gradiremmo che i media liberal la piantassero di fare ricattini morali ai critici dell’immigrazione solo perché uno squilibrato come Tobias Rathjen – che era senz’altro un razzista anti-immigrazione – ha sfogato le sue ossessioni contro degli innocenti. Perché questa politica dei due pesi e delle due misure – lo ripetiamo – non è solo disonesta. È proprio schifosa.
Valerio Benedetti