Quella mail segreta ai medici: “Tacete sul coronavirus”

Mentre in Cina l’ultimo bollettino ufficiale riferito alla giornata di ieri afferma che il numero delle persone guarite da coronavirus (1.824) ha superato quello dei contagiati (1.749), emergono nuove prove sui tentativi di Pechino di nascondere, o quanto meno insabbiare, l’epidemia del Covid-19.

Secondo quanto riferisce il quotidiano La Stampa, una mail spedita il 2 gennaio dall’Istituto di Virologia di Wuan e indirizzata alla comunità scientifica conteneva ordini ben precisi: guai a divulgare informazioni relative alla malattia che a cavallo tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 stava iniziando a diffondersi in tutta la Cina.

Tra l’altro proprio in quei giorni il medico Li Wenliang stava iniziando a denunciare l’elevato numero di pazienti contagiati da una strana malattia, mettendo in guardia sulla possibile presenza di un virus simile alla Sars. Sappiamo, poi, com’è andata a finire: il signor Li ha ricevuto la visita della polizia ed è stato minacciato, prima di morire, infettato dallo stesso coronavirus che aveva cercato, invano, di combattere.

Tornando alla mail, il contenuto era tanto chiaro quanto semplice: “Il comitato sanitario nazionale richiede esplicitamente che tutti i dati sperimentali dei test, i risultati e le conclusioni relative a questo virus non siano pubblicati su mezzi di comunicazione autonomi”. Dunque nessuna informazione sulla malattia doveva uscire, per nessun motivo, dai confini nazionali o apparire sui social network. In altre parole: il mondo non doveva sapere niente di quanto stava accadendo oltre la Muraglia.

Il testo prosegue con altri ordini perentori: “Non devono essere divulgati ai media, compresi quelli ufficiali e le organizzazioni con cui collaborano. Si chiede inoltre di rispettare rigorosamente quanto richiesto”. Al termine delle istruzioni non mancano gli auguri per l’allora imminente Capodanno cinese. Una volta preparata la mail, la direttrice dell’Istituto, Wang Yan Yi, provvede a spedirla ai vari dipartimenti di virologia e ricerca di tutta la Cina.

Considerando che le prime avvisaglie dell’emergenza sanitaria appariranno con veemenza una ventina di giorni dopo l’invio della mail, è lecito farsi una domanda: cosa sarebbe successo se Pechino non avesse “silenziato” la comunità scientifica? Difficile dirlo con certezza.

Il mistero del Remdesivir

C’è un’altra storia che vale la pena raccontare. Il 20 gennaio un 35enne americano torna negli Stati Uniti dopo aver visitato i suoi familiari a Wuhan, epicentro del contagio. Il ragazzo risulta positivo al coronavirus. Il 27 gennaio i medici locali decidono di somministrargli un farmaco ancora in via di sperimentazione. Si tratta del Remdesivir, un antivirale ideato per contrastare il virus dell’ebola. Le sue condizioni migliorano e il 30 gennaio i sintomi della malattia spariscono.

I risultati vengono pubblicati sul New England Journal of Medicine il giorno successivo. Eppure la Cina si interessa al Remdesivir già il 21 gennaio, sei giorni prima dei sanitari statunitensi. L’Istituto di Virologia della dottoressa Wang, lo stesso della mail, avanza addirittura una richiesta di brevetto per trattare i pazienti affetti dal nuovo coroanvirus.

La richiesta verrà pubblicata sul sito del medesimo centro scientifico soltanto il 4 febbraio. E qui spunta un altro interrogativo: come faceva l’Istituto di Virologia di Wuhan a prevedere che un farmaco ancora in fase sperimentale potesse contribuire a sconfiggere il Covid-19, quando il 21 gennaio non erano ancora state prese le prime misure di sicurezza nazionali?

il giornale.it

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