L’ultimo femminicidio e la rivolta delle donne: “I media ci massacrano”
Città del Messico Ingrid Escamilla, 25 anni, è stata uccisa domenica scorsa a Città del Messico dal convivente ingegnere, 21 anni più anziano, davanti al figlio 15enne autistico di lui, frutto di una precedente relazione.
Persino nella «macelleria messicana» che alle violenze in stile Isis è abituata, questo non è solo un femminicidio in più quasi 4mila nel 2019, con un aumento del 7% rispetto all’anno prima per almeno due motivi. Il primo è che prima di scendere in strada e consegnarsi alla Polizia ricoperto di sangue, Erik Francisco «N» – il cognome dell’assassino, finito in una clinica psichiatrica, non è ancora stato rivelato dalle autorità – ha squartato il corpo della povera Ingrid, estraendole gli organi interni e scuoiandola. Il secondo motivo è che le immagini dei resti della donna massacrata dal compagno lunedì scorso sono finite sulla prima pagina de La Prensa, storico quotidiano fondato nel 1928, «giornale che dice ciò che gli altri tacciono» stando agli slogan, tra i più letti della capitale. Con al fianco dell’orrore fatto immagine il titolo «É stata tutta colpa di Cupido», quasi a giustificare con l’amore uno scempio che ne rappresenta invece l’esatta negazione.
Le immagini choc hanno tappezzato così le edicole di Città del Messico, diffondendosi subito su social media e blog. «In questo modo Ingrid è stata uccisa due volte – denuncia Nidia Rosales del collettivo Brujas Feministas (Streghe Femministe, in italiano), intervistata dalla CNN – e lo Stato è responsabile del fatto che, mentre le madri lunedì mattina accompagnavano i figli a scuola, il bambini si siano trovati di fronte queste immagini orrende. Una diffusione che ha come unico obiettivo rendere normale’ agli occhi della società la violenza contro le donne».
A vendere gli scatti della vergogna pubblicati da La Prensa sono stati alcuni dei funzionari dell’Istituto di Medicina Legale che, domenica scorsa, hanno proceduto all’autopsia di Ingrid. Ora gli inquirenti che indagano sul caso sono concentrati su scoprire chi sia il dipendente pubblico responsabile di questo mercimonio, visto che l’assassino è già in carcere, essendosi consegnato di sua sponte. Sia chiaro, in Messico è prassi, anzi prospera da decenni, questa indecente compravendita di immagini truculente di vittime dei narcos sgozzate/decapitate o con gli arti tagliati, molte delle quali donne.
Sdegnate, centinaia di giovani ragazze coetanee di Ingrid, l’altroieri hanno protestato direttamente sotto il palazzo dove vive con la sua famiglia il presidente Andrés Manuel López Obrador. «Gli chiediamo un maggiore impegno» ha detto Maria, uno di loro che in mano aveva un cartello con su la scritta «Non una in più». Laconico come sempre Amlo – così tutti chiamato il presidente – che dopo avere accusato i media di «manipolare il femminicidio», ha promesso che il suo governo «si occuperà sempre di garantire la sicurezza delle donne».
Per ora risultati quasi zero, a parte un progetto di riforma del codice di procedura penale messicano depositato ieri nel Parlamento capitolino a tempo di record dalla Procura della Repubblica. Obiettivo? Introdurre pene severe, fino a 16 anni di carcere, per quei dipendenti pubblici che filtrino (su Internet o vendendole ai media) immagini di donne, ragazze o adolescenti vittime di femminicidio. Resta insoluto però il vero punto dolente della questione, ovvero l’incapacità dello stato messicano nel garantire una giustizia reale alle famiglie delle donne uccise, visto che la stragrande maggioranza dei femminicidi non viene mai risolta e solo una piccola percentuale degli autori finisce dietro le sbarre.
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