Di Pietro soccorre il Capitano: “Alla sbarra ci vada Conte”
In bilico fra diritto e politica. Su un terreno a lui congeniale. Archiviato il voto del Senato, non vanno in archivio le polemiche.
Antonio Di Pietro attacca il premier con parole ruvide, inzuppate nel buonsenso: «Mi disturba il comportamento pilatesco di chi adesso vuole scaricare solo su Salvini una responsabilità politica che è anche di altri membri del governo».
Poi l’ex pm assesta il colpo decisivo: «Il pubblico ufficiale ha l’obbligo di impedire il reato».
Insomma, l’ipocrisia secondo l’ex pm del Pool dovrebbe avere un limite. E invece Conte gioca a rimpiattino con una vicenda che aveva riempito i giornali e saturato le tv e i Cinque stelle hanno scaricato con disinvoltura encomiabile Salvini che avevano salvato quando erano insieme nel Conte 1. Dal Conte 1 al Conte 2, dalla Diciotti alla Gregoretti: le truppe grilline buttano alle ortiche la coerenza cin una capriola olimpica.
Ma c’è di più nel ragionamento di Di Pietro. C’è un riferimento preciso e sibillino all’articolo 40, secondo comma, del codice penale: «Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». E Conte, il capo dell’esecutivo, era il pubblico ufficiale che avrebbe dovuto impedire il reato ministeriale, appunto il sequestro di persona. Insomma, delle due l’una: o Salvini ha tutelato l’interesse nazionale o si è mosso per un interesse personale e ha violato il codice. Il Senato e Conte hanno optato per la seconda strada, ma allora, paradossalmente, la posizione del premier si aggrava. E pure lui rischia di scivolare dentro la querelle giudiziaria.
Se Conte ha visto il ministro ribelle spingersi oltre i confini della legalità e non l’ha fermato, allora ne diventa corresponsabile. «A questo punto – conferma Di Pietro conversando con il Giornale – non vedo come Conte non possa non essere indagato, dopo Salvini». Dunque, la linea giustizialista del governo rischia di ritorcersi contro i suoi promotori. Carlo Nordio, uno dei più raffinati magistrati italiani, l’ha spiegato nei giorni scorsi in una serie di articoli apparsi sul Messaggero. Ma i suoi puntuali interventi non hanno aperto alcuna crepa nelle certezze della maggioranza che ha stabilito di spedire Salvini a processo. Conte potrebbe ritrovarsi a breve nella stessa scomoda posizione.
Ma nelle pieghe del diritto sono possibili altri colpi di scena: Salvini, infatti, a dispetto del voto del Senato, potrebbe anche non finire alla sbarra. Le carte della Gregoretti stanno per tornare alla Procura di Catania che potrebbe chiedere il rinvio a giudizio, ma anche no. In prima battuta i pm siciliani avevano concluso per l’archiviazione del caso, ma erano stati superati e sconfessati dal tribunale dei ministri. Ora però il tribunale dei ministri dovrebbe essere fuori dalla partita, anche se la questione, un rompicapo molto tecnico, non è scontata. Insomma, nel secondo round di questa incredibile partita, la magistratura potrebbe pure smentire se stessa e il voto del Senato, con un fragoroso flop del partito del «processiamo Salvini». Ma il gup, che in udienza preliminare dovrebbe prendere il posto del tribunale dei ministri, potrebbe invece ricevere dalla procura l’ok al dibattimento oppure, nel caso contrario, avrebbe la facoltà di imporre il capo d’imputazione coatto. Le variabili e le combinazioni possibili sono molteplici.
Un fatto è sicuro, come suggerisce Di Pietro: Conte potrebbe finire sulla stessa barca di Salvini. Concorrente nel reato, come dicono gli specialisti, per omissione.
Sarebbe un finale davvero pirotecnico.
il giornale.it