Arrestato torturatore libico accolto in Italia lo scorso novembre
Era tra coloro che aspettava di conoscere l’esito della sua domanda di protezione internazionale avanzata alle nostre autorità, ospitato all’interno del grande centro d’accoglienza di Isola Capo Rizzuto e riconosciuto con la sua vera identità soltanto grazie alla denuncia di un somalo.
Lui si chiama Alhasaeri Wael Ghali Masoud, ha 37 anni ed è un cittadino libico il cui soprannome è “Peter il boss”. E questo già la dice lunga sulla sua storia e sulla sua vita che aveva in Libia prima di giungere, nello scorso mese di novembre, nel nostro paese.
Secondo gli inquirenti, la nomina di “boss” affibbiata al cittadino libico non era casuale. Anzi, il soggetto si è rivelato poi uno dei più pericolosi trafficanti di esseri umani, capace di violenze e sevizie di ogni tipo all’interno di alcuni centri presenti in Libia dove vengono ammassati i migranti provenienti dall’Africa sub sahariana.
Come detto in precedenza, a riconoscerlo è stato casualmente un ragazzo somalo. Quest’ultimo era tra gli oltre 400 sbarcati a fine gennaio a Taranto dalla Ocean Viking, la nave dell’Ong francese Sos Mediterranée a cui, subito dopo le elezioni regionali in Emilia Romagna, il governo ha dato il via libera per l’approdo.
Dalla città pugliese, il ragazzo somalo in questione è stato trasferito ad Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Qui, all’interno della struttura finita negli anni scorso al centro di importanti operazioni anti ‘ndrangheta che hanno accertato gli interessi delle cosche nel business dell’accoglienza, il ragazzo ha nuovamente incontrato quello che, dall’altra parte del Mediterraneo, ha rappresentato il suo incubo.
E forse anche il carnefice ha intuito di essere stato individuato da una delle sue vittime tanto che, secondo quanto poi reso noto dagli inquirenti, Peter il boss avrebbe offerto dei soldi al ragazzo somalo per mantenere il silenzio. Quest’ultimo però si è ugualmente rivolto alle forze dell’ordine, che hanno avviato le indagini.
Quanto scoperto ha la stessa triste dinamica di altre analoghe operazioni svolte, negli ultimi anni, soprattutto dalle procure siciliane e calabresi. È stata infatti accertata la presenza in Libia di gruppi che rinchiudono in diversi centri i migranti provenienti dall’Africa sub sahariana, minacciandoli e torturandoli finché non restituiscono il debito contratto con le associazioni criminali per affrontare il viaggio.
Nella fattispecie, Peter il boss avrebbe picchiato, torturato e seviziato per mesi il ragazzo somalo, che ha poi raccontato tutto agli inquirenti. Ma il giovane non era la sola vittima: decine di suoi connazionali hanno subito analoghe violenze, proprio come raccontato del resto in tante altre passate testimonianze.
Giudicate attendibili le dichiarazioni del ragazzo, la procura di Catanzaro ha fatto scattare l’operazione che ha portato all’arresto del boia libico di 37 anni. Lui adesso si trova in carcere, le accuse sono quelle di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di concorso in tortura con altre persone in via di identificazione.
Per mesi il torturatore ha vissuto assieme agli altri immigrati e per questo era forse convinto di averla fatta franca. E senza l’inchiesta che ha portato al suo arresto, in futuro avrebbe potuto vedersi riconosciuta la protezione internazionale.
il giornale.it