Unicredit taglia 6.000 posti in Italia
Unicredit, con una lettera inviata ai sindacati per aprire la trattativa, ha preannunciato che intende agevolare le uscite di 6mila dipendenti entro il 2023 con la contestuale chiusura di 450 filiali.
In particolare, ammontano a 500 unità le «eccedenze di capacità produttiva» relative al piano «Transform 2019», concluso l’anno scorso, mentre le restanti 5.500 riguardano il nuovo piano «Team23». L’amministratore delegato, Jean-Pierre Mustier, presentando i risultati la scorsa settimana, aveva dichiarato che in Italia il tavolo sarebbe stato aperto a breve. Il primo incontro tra l’azienda e i rappresentanti dei lavoratori è previsto per venerdì 14 febbraio, mentre la settimana successiva, il 21, il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha convocato a Roma le parti in causa, segnale evidente che l’entità dei tagli al personale preoccupa l’esecutivo.
Nella lettera, che dà il via al periodo di 50 giorni entro il quale siglare un eventuale accordo (Unicredit vuole chiudere entro il 31 marzo), il gruppo di Piazza Gae Aulenti ha messo in risalto come «nel 2019 ci siano state 20,3 milioni di operazioni in meno allo sportello dai 36,8 milioni del 2016, con oltre 300 milioni di transazioni registrate in media solo negli ultimi dodici mesi su web e smartphone». La banca non ha intenzione di utilizzare metodi brutali. Per questo motivo si guarda ai dipendenti che matureranno «il requisito pensionistico entro il 31 dicembre 2023». Per le altre uscite si «intende poi valutare in via prioritaria l’attuazione dello strumento del fondo di solidarietà di settore» verso i dipendenti più vicini alla pensione, con più finestre di uscita (in 400 furono esclusi dal fondo esuberi con il vecchio piano). Nell’ambito della trattativa, infine, verranno approfondite «ulteriori forme di esodo» come «quota 100 (che però potrebbe terminare quest’anno), opzione donna, riscatti di periodi» senza contribuzione».
I sindacati, pur avendo già contezza delle cifre sulla base di calcoli effettuati all’annuncio di «Team23», sono già sulle barricate. «Unicredit si illude di poterci squadernare un piano a scatola chiusa, concentrando il 70% dei tagli in Italia che è il mercato più redditizio e con un cost/income al 52% tra i migliori in europa», ha detto il segretario generale Fabi, Lando Maria Sileoni. Reazione forte anche dalla First Cisl. «Deve essere chiaro che non siamo disposti a discutere di esuberi se contemporaneamente non si parlerà anche di assunzioni. La nostra richiesta è che ogni due uscite sia prevista almeno un’assunzione», ha affermato il segretario Riccardo Colombani.
Occorre ricordare che l’anno scorso Deutsche Bank ha previsto l’«azzeramento» di 18mila posizioni. Hsbc ha tagliato 10mila posti, mentre Morgan Stanley a dicembre ha licenziato 2mila addetti. Fuori dall’Italia, quindi, il contesto è ancor più duro. Senza contare che il monte dividendi deliberati dai principali istituti italiani per il 2019 ha superato quota 5 miliardi di euro, attestandosi al 63% degli utili. Unicredit, invece, conta di distribuire tra dividendi e buyback il 50% dell’utile già da quest’anno.