Insulti, errori e liti interne: la tragica parabola delle sardine
Quando si è in troppi in un luogo ristretto, il rischio di esplodere esiste. E le sardine, in questo, non fanno eccezione. In soli tre mesi il movimento dei pesciolini è cresciuto a dismisura: coccolati dai media, applauditi da Soros, sospinti dalla sinistra.
Quasi senza controllo sono sorte filiali in tutta Italia, i seguaci si sono moltiplicati a dismisura, ma con la gloria sono arrivate pure le contraddizioni. E alla fine la scatoletta che le conserva è già sul punto di frantumarsi in mille divisioni interne.
La nascita e i riferimenti politici
La storia inizia con Mattia Santori e dei suoi tre amici una sera di novembre. “Un movimento nato dal basso e non partitico”, si dirà. Eppure gli endorsment non sono mancati. Per organizzare il famoso sit-in contro Salvini a Bologna, le sardine avevano chiesto l’appoggio di centri sociali, organizzazioni varie e presidenti di quartiere di sinistra. Santori è amico di Matteo Lepore, assessore Pd a Bologna. Lavora per la rivista di Alberto Clò fondata con Romano Prodi – subito entusiasta dell’iniziativa -. E tra i suoi riferimenti politici annoverava Elly Schlein, eurodeputata ex Pd, poi Sel e infine la più votata alle elezioni regionali con Bonaccini.
Le contraddizioni
Il movimento è cresciuto rapidamente. Dopo Bologna i flash mob si sono moltiplicati in tutta Italia, in Europa e anche in America. Con la fama sono emerse però cozzanti contraddizioni: il manifesto delle sardine è un inno contro l’odio, specie quello populista, eppure nella loro breve storia i pesciolini si sono macchiati più volte di quello stesso peccato. Alcuni esempi: una leader di Modena aveva pubblicato un post in cui si evocava l’omicidio di Salvini. Poi sulle pagine ufficiali decine di sardine hanno vomitato insulti sulla Meloni definita bestia, feccia e sgorbia. E in occasione delle di Capodanno l’esponente piemontese, Giulia Bodo, ha oltraggiato il ricordo di leghista Gianluca Buonanno, morto in un incidente stradale.
La foto con Benetton
Viene da dire che la coerenza, forse, non si può chiudere in una scatoletta. Tanto che tra le migliaia persone possibili, le sardine hanno scelto di incontrare Oliviero Toscani, fotografo noto ormai più per gli insulti a Salvini che per i suoi scatti. “Non è certo lo sponsor migliore per i paladini dell’amore”, direbbe qualcuno. E infatti alla fine gli errori si pagano. La foto con i Benetton ha rotto l’incanto sardinesco: diversi esponenti hanno preso le distanze, Jasmine Cristallo l’ha definita una “scelta improvvida” e il leader romano Obongo ha dato il via alla scissione dell’atomo.
Le liti
È stato un errore pacchiano più visibile di altri, vero: ma in realtà si tratta solo di una delle tante fratture che in soli due mesi hanno terremotato il giovane movimento politico. Il primo litigio risale alle prime settimane di vita: gli esponenti modenesi salgono sul palco della convention di Bonacini e invitano tutti a votarlo. I 4 fondatori si infuriano e li richiamano all’ordine, anche se più avanti appoggeranno loro stessi il governatore. Il secondo scossone colpisce invece Roma, quando Obongo interpreta il messaggio di apertura alla lettera e invita in piazza pure Casapound. Apriti cielo. È questo scivolone a convincere Santori&co. che per tenere la barra dritta è meglio riportare il centro decisionale a Bologna. Le sardine originali allora si mobilitano: prima registrano il marchio, poi selezionano rigidamente chi mandare in tv e schierano il movimento più chiaramente a sinistra. Infine, lasciando quasi all’oscuro i compagni di avventura del resto d’Italia, fondano l’Associazione che gestirà gli ingenti fondi arrivati dalle donazioni. Qualcuno si lamenta, molti borbottano, e solo la vittoria alle regionali in Emilia Romagna riporta il sorriso. Almeno fino al grave inciampo con Benetton che certifica il mutamento definitivo delle sardine. E l’inizio, forse, della loro parabola discendente.
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