L’Anpi “revisiona” le foibe: caso gonfiato come Bibbiano
Si sono inventati la memoria, il ricordo delle foibe, «salvo accredito», ma la trovata più originale stava nel titolo del seminario, un ribaltone storiografico, che ha fatto diventare le foibe «fascismo di confine», che è un po’ come ragionare di fascismo, ma chiamandolo «comunismo di destra».
E l’incontro non era pubblico, come lo ha definito ieri l’Anpi che, alla Biblioteca del Senato, intitolata a quel liberale di Giovanni Spadolini (povero lui), si è ritrovata a conversare di foibe e dunque di «argomenti tragici e complessi che vanno affrontati con serenità», ha anticipato il vicepresidente Gianfranco Pagliarulo. Li hanno affrontati ma escludendo – come del resto hanno riconosciuto gli organizzatori – «decine e decine di partecipanti» non accreditati e che non hanno avuto accesso in sala.
E purtroppo bisogna riconoscere che non erano fantasie, ma avvertimenti legittimi quelli di Giorgia Meloni, leader di Fdi, che per tutta la giornata ha avvisato che «il convegno ha il chiaro intento revisionista. Vuole minimizzare o provare a giustificare la violenza contro gli italiani. Un vero e proprio oltraggio agli esuli istriani e dalmati infoibati, vittime dell’odio comunisti. Vergogna». E infatti, quando il presidente del comitato provinciale dell’Anpi Udine, Dino Spanghero, ha preso la parola, ha immediatamente dichiarato che bisogna «smontare il mito della pulizia etnica da parte di Tito» e che il dramma degli infoibati, la loro tragica fine «non dipendeva dall’etnia, ma dal fatto che erano nemici della patria». Era questo il suo contributo «pacato e sereno» oltre all’invito a «non farsi prendere da isterismi fascisti e revanscisti». Chi si è accomodato ha invece preso il libriccino che per l’Anpi, e per la sua presidente Carla Nespolo (presente), rappresenta la sintesi storica dell’associazione su questa vicenda malgrado sia datato 2016. Riproduciamo alcuni passi: «Vi è stato il tentativo di appropriazione dell’insieme di eventi drammatici nel confine italo sloveno, finalizzato alla loro trasformazione in una sorta di rendita memoriale da spendere in favore di una parte politica».
Per parte politica si intende la destra. Per più di un’ora la parola «foibe» non è stata mai pronunciata, ma si è parlato del fascismo, dell’avventura fiumana. E lo si è fatto anche bene, in particolar modo quando è intervenuto lo storico Giovanni De Luna che si è limitato tuttavia a fare una lezione interessantissima su di esso («Per esserci fascismo devono esserci due elementi: violenza e complicità delle istituzioni, dei corpi militari». In pratica ha dato degli sciocchi a tutti quelli che oggi gridano al fascismo). De Luna è fuggito non appena ha concluso e non ha potuto (voluto?) ascoltare la collega Anna Maria Vinci che parlava di «bonifica etnica», ma attribuendola solo al regime fascista. È stato invece Franco Ceccotti, relatore e già segretario del comitato provinciale Anpi di Trieste, a dare (e in ogni senso) i numeri. Straparlava come Anna Cocchi, presidente Anpi Bologna, che ieri ha paragonato le foibe a Bibbiano («Noi non neghiamo assolutamente le foibe, ma non si possono usare strumentalmente e politicamente le foibe come è stato fatto con Bibbiano»).
Secondo quanto pensa quest’ultima, «i dati raccolti – che appartengono alla storia – sconfessano i numeri dei morti sostenuti dalla parte politica di destra che risultano gonfiati». Era la stessa opinione di Ceccotti, uno per cui, «l’ordine di grandezza degli infoibati va da 4 a 5mila». Garantiva che i dati erano storiografici. Poi ha parlato anche dei caduti, a suo giudizio, uccisi più per lotta di classe, «per motivazioni sociali. Tra di loro c’erano anche dirigenti e medici. Un medico poteva anche essere ucciso per altri motivi, come non aver curato bene». Non volevano in verità parlare di foibe. Volevano solo confermare la loro verità sulle foibe.
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