Coronavirus, i giudici di pace: “Nelle udienze per le espulsioni i migranti possono contagiarci”
La psicosi da coronavirus è arrivata anche nei tribunali italiani, dove i giudici di pace ora battono i pugni sui banchi per chiedere protezioni così da evitare qualsiasi contagio, anche da altre malattie come il vaiolo, la tubercolosi, il colera, l’ebola, oltre che dal pericoloso “virus cinese”.
“Rischiamo di ammalarci nelle udienze di convalida delle espulsioni dei migranti”, protestano le toghe, tramite le proprie rappresentanze sindacali. Con una nota, infatti, l’Associazione nazionale giudici di pace tira per la giacchetta il ministero della Salute, quello della Giustizia e l’intero governo: “La pericolosità di un contagio può essere ancor più tangibile durante le udienze celebrate dai giudici di pace relative alla convalida delle espulsioni di migranti clandestini, che si tengono nei Centri di permanenza e rimpatrio, ovvero nei confronti di coloro che hanno violato l’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato od anche per i reati di clandestinità”.
La questione non è da poco e interessa tutto il Belpaese: le udienze, infatti, non si tengono solamente nei principali centri di permanenza e rimpatrio di Trapani, Bari, Roma e Torino, ma anche negli uffici dei giudici di pace, così come nelle stanze delle questure di tutt’Italia. E da lì un eventuale soggetto infetto da coronavirus potrebbe diffondere il virus.
Per questa ragione, i giudici di pace italiani pretendono “un urgente intervento del governo italiano e in particolare del ministro della Sanità e del ministro della Giustizia, rispettivamente a tutela della salute (art. 32 Costituzione) dei giudici di Pace e del ripristino delle indennità lavorative (art. 36 Costituzione). Norme previste espressamente dalla Costituzione italiana su cui i ministri hanno giurato fedeltà”.
Roberto Speranza, il Guardasigilli Alfonso Bonafede e il premier Giuseppe Conte sono dunque chiamati in causa dalle toghe e chissà se i tre daranno loro mascherine e quant’altro per schermarsi da qualsiasi eventuale contatto. Perché l’ombra del coronavirus, ma non solo, è sempre in agguato.
I giudici hanno fatto quadrato e la lettera vergata e spedita all’esecutivo da parte dell’Unagipa parla chiaro: “Vogliamo che siano fornite maschere idonee a schermarsi da eventuali contagi, previa autorizzazione all’uso durante l’udienza”.
Inoltre, le toghe sperano anche che venga emanata e dunque diffusa una “circolare volta a chiarire il protocollo da attuare per la protezione della salute dei giudici che prestano servizio, soprattutto nella materia delle convalide di espulsione e di trattenimento nei centri di permanenza degli immigrati clandestini, sia per l’attuale emergenza sanitaria, ma anche per altre patologie di facile diffusione come la tubercolosi e le altre elencate”. Fra le richieste dell’Unione nazionale dei giudici di pace, infine, anche quella di “apprestate immediatamente le tutele relative alle indennità di malattia e di rischio e per i giudici di pace e i magistrati onorari che si trovano in medesime situazioni”.
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