La minaccia sbarca dall’Africa Colonia cinese senza controlli
A ltro che turisti e ristoranti cinesi. La vera minaccia per noi italiani si chiama Africa. Anche perché a traghettare il coronavirus 2019-nCoV potrebbero essere quelle navi delle Ong, cariche di migranti, a cui il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese garantisce solleciti approdi nei nostri porti.
La minaccia è evidente. Negli ultimi dieci anni il Continente Nero è diventato un’immensa colonia cinese grazie ai 270 miliardi di dollari con cui Pechino ha foraggiato la costruzione di porti, strade, dighe e ferrovie. Stando al Parlamento Europeo la Cina ha finanziato il 18,9% delle grandi opere sorte in Africa tra il 2010 e il 2018 e ne ha realizzato il 33,2 per cento. In cambio di questa presenza capillare si è garantita lo sfruttamento delle risorse naturali di molte nazioni africani. Ma la vera peculiarità di questo neo-colonialismo predatorio è la pretesa di realizzare i progetti con forza lavoro cinese trasferita sul posto assieme ad attrezzature e strumenti di lavoro.
Così oggi i cinesi presenti nei cantieri ai quattro angoli del Continente Nero superano il milione. Ma per esercitare un controllo politico e culturale sui paesi africani Pechino distribuisce anche borse di studio. Oggi gli 80mila studenti africani presenti nelle Università cinesi, rappresentano la più consistente comunità straniera. E almeno 4.600 risiedono a Wuhan epicentro del contagio. La caratteristica di studenti e lavoratori è, però, quella di viaggiare di frequente contribuendo alla potenziale diffusione di un coronavirus che in Africa troverebbe ben poche barriere preventive. «Non sappiamo il danno che il virus potrebbe provocare diffondendosi in un paese con un sistema sanitario inadeguato» ammette, pensando all’Africa, il direttore generale dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) Tedros Adhanom Ghebreyesus. E l’epidemiologo Ifeanyi Nsofor, direttore del sistema sanitario in Nigeria, denuncia il primo caso in Costa d’Avorio spiegando che «non esiste in Africa un solo Paese pronto a individuare, prevenire e rispondere a un’epidemia». Stando al sito Prevent Epidemics (Prevenire Epidemie), realizzato con i dati Oms, le nazioni africane più attrezzate in campo sanitario come Kenya, Sud Africa e Sierra Leone hanno una capacità preventiva pari a 50/60 punti su cento mentre un adeguato contrasto del virus richiede capacità pari ad almeno 80 punti. E a moltiplicare le preoccupazioni s’aggiunge la mancanza di controlli su molti confini terrestri toccati dalle rotte migratorie.
Particolarmente inquietante per l’Italia è la lista dei 13 Paesi africani (Algeria, Angola, Costa d’Avorio, Congo, Etiopia, Ghana, Kenya, Mauritius, Nigeria, Sud Africa, Tanzania, Uganda and Zambia) più minacciati dal contagio secondo la stessa Oms. Stando ai dati del Viminale in testa agli arrivi dal 1° gennaio ad oggi vi sono, infatti, i migranti di Algeria e Costa d’Avorio. Mentre restano assai frequenti anche gli arrivi da Ghana e Nigeria. Come sottolinea Michel Yao, responsabile delle emergenze sanitarie in Africa dell’Oms, il nuovo virus «potrebbe sopraffare i sistemi sanitari entro i prossimi giorni, forniremo ad almeno 20 Paesi africani il reagente necessario per testare i campioni per il virus». Ma ad innalzare l’allarme s’aggiunge il timore che la popolazione diserti i centri medici affidandosi, come capita in Africa, a guaritori e rimedi tradizionali. Nelle isole di Capo Verde la popolazione sta già facendo incetta di finocchio considerato, secondo voci circolate nelle ultime settimane, il miglior rimedio contro il coronavirus.
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