L’eroe di Rigopiano: “Non scordo quei morti. La cura è salvare vite”
Con i suoi uomini attraversò la bufera e muri di neve per arrivare a Rigopiano, dove il 18 gennaio del 2017 quaranta persone furono travolte dalla furia di una valanga scatenata da un terremoto che fece crollare l’hotel in cui si trovavano.
Solo undici di loro sopravvissero e furono salvati da chi per giorni lavorò per estrarli vivi. Lorenzo Gagliardi, comandante della stazione del soccorso alpino di Roccaraso, oggi continua a fare il proprio lavoro. È stato promosso maresciallo aiutante della Guardia di Finanza, corpo in cui lavora da trent’anni e ha un solo desiderio, che «tragedie di questo tipo possano non avvenire più».
I ricordi di quella notte sono ancora nitidi. «Certi momenti non li può dimenticare, perché ciò che accadde è stato un evento unico nel mio percorso lavorativo – racconta -. Ho lavorato su valanghe, su terremoti, ma mai avevo affrontato i due eventi insieme che provocano il crollo di una struttura. Eravamo stati allertati per un’altra valanga con una persona che è poi stata ritrovata morta su Campotosto e poi nel corso del viaggio dalla mia sala operativa fummo dirottati verso Rigopiano dove però non avevamo idea di cosa fosse successo». Intorno all’una di notte arrivarono lungo la strada dove una colonna di mezzi fermi era bloccata dietro a una turbina con neve altissima e tronchi a ostruire il passaggio. Non si passava. «Chiesi ai volontari del soccorso alpino – ricorda – se se la sentissero di andare su. Partimmo in 12, di cui 4 della Guardia di Finanza, dopo aver preso il materiale necessario. Camminammo per due ore e mezzo con una bufera e il rischio di valanghe, tenendoci a debita distanza l’uno dall’altro per consentire l’eventuale autosoccorso. Perché la montagna non ti avvisa se decide di far cadere altra neve». A illuminare il cammino solo le torce. Quando arrivarono si trovarono davanti una scena surreale e drammatica.
Il resto fa parte di una storia che tutti tristemente conoscono. Gagliardi e i suoi uomini non abbandonarono il campo fino a intervento concluso, lavorando in squadra con tutti i soccorritori. Per giorni si impegnarono per cercare di salvare la vita a quante più persone possibile. Con una serenità tipica di chi ha votato la propria vita ad aiutare gli altri, spiega: «Oggi continuo a essere a disposizione dell’utente. Fa parte del mio lavoro, per lo più mi occupo di soccorso in montagna, ma facciamo qualsiasi attività dove serve». E ammette che ha salvato altre vite. Come l’anno scorso a Capodanno, quando coi suoi uomini intervenne «per portare in salvo un uomo che per tre giorni era rimasto isolato in un rifugio». Ancora sotto la neve, ancora in mezzo alla bufera, di nuovo dopo ore di cammino. La sua gratificazione più grande è «quella di qualsiasi soccorritore: quando riesci a salvare vite umane e riportarle dai loro familiari». Paura? «Il rischio c’è sempre – spiega Gagliardi – e quando parto avviso sempre mia moglie. Ma ci addestriamo per questo, è il nostro compito. Certo, valutiamo il rischio, non andiamo sprovveduti. Ma il caso lo devi accettare. Perché poi la parte più bella, come a Rigopiano, è quando vedi un bambino che esce dalle macerie e ti sorride». Il finanziere alle commemorazioni ha incontrato le famiglie dei superstiti o di chi ha lasciato la vita a Rigopiano. «Ancora – dice – qualcuno ci ringrazia. Rimpianti? So che ho fatto tutto il possibile, ma spero che in futuro cose così non accadano più».
il giornale.it