“Io sono un intoccabile e voi siete morti”, così Gianfranco Librandi minacciò i finanzieri
Avrebbe minacciato i finanzieri dicendo loro di essere “intoccabile”. Il tutto rivolgendosi alla guardia di Finanza che, legittimamente, stava compiendo un’ispezione fiscale nella sua azienda elettronica da oltre 200 milioni di fatturato l’anno. A riportare la notizia è un’inchiesta pubblicata da L’Espresso, che riporta un fatto accaduto il 24 luglio scorso a Gianfranco Librandi, imprenditore e deputato di Italia viva, che, in quella circostanza, avrebbe minacciato le fiamme gialle colpevoli della visita fiscale.
La dinamica della perquisizione
Secondo quanto ricostruito dalla rivista, che afferma di aver letto le carte delle fiamme gialle, la mattina del 24 luglio, i finanzieri si sarebbero presentati a sorpresa ai cancelli aziendali di Librandi, come previsto da regolamento, sia alla grande sede centrale di Saronno, in provincia di Varese, sia a quelle degli uffici commerciali di Milano e di Roma. Come riportato da L’Espresso, che ha consultato le relazioni di servizio, i militari avrebbero segnalato come, “in considerazione della carica pubblica rivestita”, Librandi veniva subito avvisato della loro presenza, in modo da evitare di ispezionare i locali eventualmente utilizzati per le sue attività parlamentari.
La (prima) reazione di Librandi
In quel momento, Librandi si trova in Commissione Finanze, a Montecitorio. E secondo la ricostruzione della rivista, appena capito che i militari si trovavano nella sua azienda, Librandi si sarebbe spazientito. In base a quanto ricostruito dalla testata, la guardia di Finanza, riassumendo i fatti avrebbe riportato: “Il dottor Librandi, con tono alterato, incalzava il maggiore Pirrazzo dicendogli che, vista la sua assenza, doveva andare via e tornare solo quando lui fosse stato presente. Che stava commettendo un abuso di potere e che i militari non potevano occupare un’azienda che lavora senza prima avvisarlo”.
“Pagherà le conseguenze…”
Sempre secondo quando descritto dalla rivista, quando il finanziere avrebbe provato a spiegare a Librandi che l’ispezione si sarebbe potuta svolgere anche in sua assenza, cioè in assenza del rappresentante legale della srl, il deputato di Italia viva, sarebbe esploso e come riporta l’inchiesta de L’Espresso, che cita una prima relazione di servizio, avrebbe detto: “Non ha capito, ve ne dovete andare…lei pagherà le conseguenze di quello che sta facendo violando le leggi. Ora chiamo i generali e le faccio vedere io se sta facendo bene! Andrà a finire male”.
“La faccio sbattere fuori”
In base a quanto ricostruito dall’inchiesta, che porta la firma di Emiliano Fittipaldi e di Giovanni Tizian, mentre il maggiore delle fiamme gialle invitava l’imprenditore deputato a moderare termini e parole, Librandi avrebbe risposto: “Ve ne dovete andare! Non ha capito, io sono onorevole e sto in commissione Finanze, ha capito? Ora chiamo il prefetto e la faccio sbattere fuori”. I militari, però, a quel punto, non potendo abbandonare la verifica, avrebbero chiesto a Librandi chi, in azienda, avesse potuto aiutarli ad avere la documentazione contabile richiesta e a seguire le varie operazioni ispettive.
“Avete violato i miei diritti garantiti”
Risentito dall’ulteriore richiesta delle fiamme gialle, Librandi avrebbe ripetuto, ancora una volta: “Lei non ha capito, voi ve ne anadte e tornate quando sarà possibile perché state violando i miei diritti e intralciando la mia attività di parlamentare. Io non mi faccio assistere da nessuno…lei ne pagherà le conseguenze…le farò causa e le farò pagare le conseguenze dell’occupazione militare che ha fatto questa mattina nei miei uffici di Saronno…io sono intoccabile, avete violato i miei diritti garantiti, io le avevo detto di tornare venerdì, perché oggi erano presenti anche dei clienti tedeschi…”. E nel documento protocollato il 25 luglio 2019 e firmato da tutti i militari intervenuti alla sede della Tci Telecomunicazioni di Saronno, come riportato da L’Espresso, Librando avrebbe detto: “Ci divertiremo in tribunale, vedrà. Mi saluti i suoi amici leghisti”.
“Io lavoro, non come voi che non fate un c…”
Mentre il maggior Pirrazzo avvertiva dell’accaduto il comandante provinciale di Varese, il generale Marco Lainati, Librandi sarebbe corso agli uffici romani della srl, dove altri tre finanziere, guidati dal tenente Cerra, sarebbero arrivati poco prima. Come riportato dalla rivista, a leggere una seconda relazione di servizio, alla vista dei militari, il deputato di Italia viva prima “si rifiutava di stringere la mano ai finanzieri che si presentavano intenti a rappresentare i motivi dell’intervento” e poi avrebbe detto: “Io lavoro, non come voi che non fate un cazzo dalla mattina alla sera, pago le tasse e anche il vostro stipendio”.
“Siete morti”
E, come riporta L’Espresso, nonostante gli investigatori avessero cominciato a perlustrare soltanto gli spazi che una collaboratrice di Librandi avrebbe indicato come adibiti a uso aziendale, l’onorevole avrebbe fatto presente che la palazzina romana di quattro piani era “prevalentemente adibita all’attività di parlamentare” e che duenque avrebbe “denunciato gli operanti per abuso di potere ed ‘estorsione'”. Secondo quanto spiegato dalla testata, che cita la guardia di Finanza, Librandi “inveiva contro i verbalizzanti asserendo che non avrebbe fornito il proprio documento richiesto per l’identificazione, che il tenenete Cerri, probabilmente a causa delle operazioni in corso, non avrebbe percepito la pensione, che gli operanti avrebbero potuto considerare finita la propria carriera professionale, pronunciando le parole ‘siete morti'”.
La replica di Librandi a L’Espresso
Per Librandi, infatti, la verifica fiscale sarebbe stata, in realtà, una vendetta politica. Nell’episodio citato da L’Espresso, Librandi avrebbe fatto un riferimento, in modo dispregiativo all’orientamento politico di uno dei finanzieri. Interpellato in queste ore da Adnkronos, Librandi ha ricordato l’episodio raccontato dalla rivista, ma ha negato di aver apostrofato i militari con parole come “Legisti di m…”: “Mi ricordo benissimo la visita della guardia di Finanza ma questa storia dei ‘leghisti di m…’ non esiste proprio. È tutta fantasia e, ovvamente, agirò in giudizio perché questa è diffamazione”. Inoltre, l’onorevole sostiene che l’esito dela verifica fiscale fu che “le operazioni” dell’azienda risultarono “tutte regolari”.
La rabbia dell’onorevole
Eppure, in base a quanto ricostruito da L’Espresso, secondo i finanzieri mandati nella Capitale, le invettive sarebbero continuate per tutta la durata dell’ispezione. Quando l’onorevole di Italia viva avrebbe scoperto che una sua collaboratrice aveva rilasciato dichiarazioni in sua assenza (poi messe a verbale dai militari) si sarebbe arrabbiato, spiegando che quando era scritto era tutto falso: “Il Librandi sosteneva che la stessa era ‘una dipendente parlamentare’ in ragione di un contratto. Alla richiesta di un documento che lo dimostrasse, l’onorevole urlava ‘Fuori, andate via, aria! Fuori da casa mia’, indicando la prota d’uscita ai sottoscritti i quali, dopo aver tentato invano e con toni assolutamente pacati di riportare la calma, evidentemente persa dall’onorevole, procedevano a lasciare l’edificio”.
La versione di Librandi
Secondo quanto riprotato da L’Espresso, poi, due giorno di dopo, il deputato avrebbe consegnato alle fiamme gialle una sua dichiarazione in cui forniva la sua personale versione della vicenda. La relazione sarebbe stata firmata da altri quattro dirigenti della Tci presenti durante l’ispezione in Lombardia e il racconto risulta completamente diverso rispetto alle ricostruzioni dei finanzieri. Nella dichiarazione, Librandi si sarebbe lamentato anche della scelta, da parte dei finanzieri, di sigillare un armadio in azienda, “contenente carte istituzionali del deputato e documenti suoi personali”, oltre che di atteggiamenti “intimidatori”, di un verbale finale “ridondante ed unilaterale che comunque non può essere firmato perché non corrispondente alla realtà dei fatti”.
Chi è Librandi
Gianfranco Librandi, circa trent’anni fa, aveva fondato la grande società di componentistica per l’illuminazione, la Tci Telecomunicazioni Italia. L’imprenditore, negli anni, avrebbe finanziato diversi partiti politici. In Parlamento era entrato nel 2013 tra i deputati di Scelta civica e nel 2017 si era avvicinato al Partito democratico di Matteo Renzi (che poi ha seguito entrando in Italia viva).
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