Così i poliziotti vengono umiliati: “Costretti a pagare i pasti ai migranti”
I poliziotti pagano di propria tasca per lavorare e per garantire un servizio richiesto dallo Stato.
L’assurda vicenda che arriva da Livorno ha provocato una grande indignazione generale: com’è possibile che gli agenti debbano prestare soldi per sostenere i costi per l’espulsione dei clandestini? Gli elementi che via via si aggiungono sono sempre più incredibili: se si rifiutano (comprensibilmente) di anticipare il denaro, l’irregolare da espellere torna tranquillamente libero in città, come previsto dall’articolo 15 del testo unico di pubblica sicurezza datato 18 giugno 1931.
Una vera e propria umiliazione. Come se non bastasse, i poliziotti hanno denunciato anche un’altra triste realtà: “Gli stranieri sfruttano i rimpatri per passare le vacanze con la famiglia“. Un lavoro quotidiano svolto in condizioni tutt’altro che sicure: uniformi vecchie, M-12 degli anni Settanta da sostituire, sottocamicia mancanti, carenza di munizioni e fondine vecchie in cartone pressato. Rischiano per i clandestini.
“Vitto e pasti pagati”
Oltre al danno, la beffa. Durante l’intero viaggio dalla città fino al punto in cui è situato il Cie (Centro di identificazione ed espulsione), talvolta un lungo tragitto, è inevitabile fare una sosta per mangiare e rifocillarsi. Il tutto con il migrante a carico, a cui va pagato pure il vitto. Angela Bona, segretario generale del Sindacato italiano unitario lavoratori polizia (Siulp) di Livorno, ha spiegato: “Se uno straniero che viene accompagnato lamenta di avere sete o fame, il poliziotto può sottrarsi da dargli da mangiare o da bere? Certo che no”. Costi coperti dal Dipartimento di pubblica sicurezza. Soldi che dovrebbero essere a disposizione in questura, che spesso però non ha le risorse economiche. Una circostanza in cui a rimetterci sono proprio i poliziotti in prima persona: “La situazione non può essere più sottaciuta”.
Il fenomeno non è limitato alla città toscana: non si tratta di un caso isolato. Roberto Galeotti, segretario provinciale Siulp Forlì-Cesena, ha infatti confermato: “Ciò che è successo a Livorno è capitato anche da noi. Sono tanti i colleghi che aspettano mesi per vedersi rimborsare i soldi anticipati, e anche i casi di quelli che si rifiutano di accompagnare i clandestini per i rimpatri proprio per via dei fondi che non ci sono”. Medesima tesi sostenuta da Luca Tommasini, segretario generale del Sap di Livorno: “Ci sono colleghi che aspettano i rimborsi da due anni, io stesso sono ‘scoperto’ di circa 300 euro per gli ultimi accompagnamenti in centro distanti”.