Salvini sfida le toghe sul caso Gregoretti: “Avanti, processatemi”
«Non vedo l’ora di andare a processo»: Matteo Salvini non ha paura delle conseguenze che gli porterà finire di fronte al Tribunale dei ministri per difendersi dall’accusa di sequestro di persona per il caso di nave Gregoretti.
Il leader della Lega è tranquillo, perché i suoi assi nella manica sono numerosi.
Prima di tutto la vicenda è molto simile a quella della Diciotti, per cui la giunta per le autorizzazioni a procedere non dette l’assenso al processo e per cui Conte e Di Maio si autoaccusarono. In secondo luogo, seppure il premier continui a dire che non si discusse della questione in Consiglio dei ministri, vi fu uno scambio di mail che sarebbero la prova inconfutabile che tutto l’esecutivo era a conoscenza delle decisioni di Matteo Salvini e le condivideva. Una dimostrazione che renderebbe ancor più grave la posizione del Movimento 5 stelle, che dando l’ok al processo, di fatto, commetterebbe un abuso di potere volto ad annientare l’avversario politico. Un’ingiustizia basata sulle bugie, insomma, pur di dare il benservito all’ex ministro dell’Interno, che con il passare del tempo acquisisce sempre più consenso popolare e che rischia di andare seriamente come premier al governo il giorno in cui si finirà a elezioni.
In tutta questa vicenda, peraltro, c’è l’accanimento giudiziario della magistratura rossa, che continua a perseguitare il leader del partito del Carroccio in ogni forma possibile. Basti ricordare che tutti e tre i giudici del Tribunale dei ministri che saranno probabilmente chiamati a giudicare Salvini appartengono a Magistratura democratica.
Che l’ex titolare del Viminale vada a processo, d’altronde, è ormai chiaro anche da un rapido calcolo. Per respingere la richiesta di un giudizio sarebbero necessari 160-161 voti visto che serve il voto palese della maggioranza dei componenti del Senato.
Anche nel caso in cui i renziani di Italia Viva non decidessero di andare contro a Salvini, non si avrebbero comunque i numeri necessari.
Il Capitano, però, si mostra tranquillo: «Se processano me, processano l’Italia. Sarebbe un processo politico, non penale. Se ci sarà lo faremo diventare l’occasione per aprire una riflessione sulla situazione della giustizia italiana e sulla mancanza di dignità e di onore dei politici di una certa parte, che hanno delegato ai magistrati le loro battaglie e il loro potere».
E ancora: «Il Parlamento, nel votare sull’autorizzazione a procedere, non deve decidere se è giusto o no chiudere i porti, ma solo se ho agito da ministro pensando di fare l’interesse del mio Paese o se perseguivo interessi miei. È ovvio che se mi mandano a giudizio è un attacco politico e di solito sono i regimi, non le democrazie, a mandare alla sbarra i leader dell’opposizione».
D’altronde che Salvini sia nel giusto lo ribadisce anche l’ex ministro Giulia Bongiorno che in un’intervista a La Verità ribadisce che sul caso Gregoretti «la decisione è stata presa nell’interesse pubblico ed è stata condivisa». L’avvocato spiega anche che «è del tutto irrilevante la circostanza citata da Conte della mancata discussione in Consiglio dei ministri. Ciò che conta è la condivisione effettiva di quella scelta è la compartecipazione attiva per trovare una soluzione al problema». Fonti vicine alla Lega fanno sapere: «Siamo tranquillissimi». Intanto la Sea Watch 3, imbarcazione dell’Ong tedesca capitanata da Carola Rackete, è appena risalpata da Licata: «Finalmente torniamo in mare». Direzione: le coste della Libia.
il giornale.it