La “guerra santa” di Francesco: così il Papa sfida i sovranisti
Papa Francesco, come tutti i pontefici, non è mosso da una particolare ideologia politica. Ma questo non lo hai mai esentato da chiarire in maniera netta quali siano i punti fermi del suo programma interno e internazionale, valido per tutta la comunità crisitiana e non solo. Fra questi punti fermi, c’è sicuramente il sovranismo che, a detta del pontefice argentino, è un pericolo tangibile. E il timore del Papa è che le tragedie del secolo scorso possano tornare in auge per via dell’incontrollato boom di ideologie che che la storia ha superato. Una posizione sicuramente diversa da quella molti si attendono dal Santo Padre e che fa sì che molti analisti considerino Jorge Mario Bergoglio alla stregua di un convinto progressista.
Il vescovo di Roma, nel 2014, ha replicato così a questo genere di asserzioni: “Terra, lavoro, tetto …è strano ma se parlo di questo per un po’ ecco che dicono: ‘È che il Papa è comunista’. Ed invece l’amore per i poveri è al centro del Vangelo'”.
Le omelie che sembrano tese alla destrutturazione del valore dei confini nazionali alimentano persino le etichette di “globalista” o di “migrazionista”. Il che, almeno in parte, fa il paio con la sua fama da riformatore ecclesiastico. Quella che gli sarebbe valsa l’elezione in Conclave. Un “martiniano” – nel senso di un sostenitore del pensiero del cardinal Carlo Maria Martini – , si direbbe in termini di schematismi curiali.
Altri, invece, pensano che il Papa sia un peronista che ha cambiato idea nel corso degli anni. Un film natalizio prodotto da Netflix, ossia “I due Papi”, sembra seguire quest’ultima narrativa. In Argentina, a dire il vero, alcuni commentatori pensano che Il Papa non abbia modificato più di tanto la sua visione del mondo e che, pur essendo stato scelto come vertice della Chiesa cattolica, sia sempre rimasto fedele al populismo conosciuto in quel di Buenos Aires. Bergoglio, quindi, come un simpatizzante del peronismo, che confina con il socialismo. Una disamina – quest’ultima – che poggia su alcuni presunti passaggi della vicenda sudamericana di Francesco. Ma il peronismo – convengono altri commentatori – era un’ideologia “nazionale”. E Bergoglio è tutto fuorché un nazionalista.
Sono alcune delle tesi in circolo. Non sono affatto tutte. Ma nessuna sembra essere in grado di definire a pieno i limiti dell’azione del pontefice regnante, che è una figura poco incasellabile all’interno degli insiemi tradizionali delle categorie politiche.
Il dibattito attorno al “Bergoglio politico”
La Chiesa cattolica, dall’elezione di Jorge Mario Bergoglio in poi, ha preso posizioni diverse sul piano politico. La bioetica sembra essere passata in secondo piano. La concretezza è uno dei mantra della “Chiesa in uscita”.
Basta una rapida ricerca sul web per comprendere come il pontefice, in realtà, difenda i “valori non negoziabili” in maniera molto più assidua rispetto a quanto lo facciano certe realtà episcopali. Solo che i media progressisti – sempre attenti quando si tratta di “aperture” o “svolte” – sembrano preferire l’omissione di considerazioni pro life o la non attribuzione di peso a certe dichiarazioni. Ai messaggi contro l’aborto e l’eutanasia o in difesa della “famiglia naturale” non viene quasi mai data l’importanza che viene associata alla pastorale sui migranti, per fare un esempio. E questo è un elemento che può essere utile a chiarire l’entità e lo stato della dialettica riguardante il “Bergoglio politico”.
Sandro Magister, uno dei più illustri vaticanisti, ha più volte parlato del “mito del popolo” in relazione al pensiero politico di Francesco, rimarcando però come, in fin dei conti, il vescovo di Roma non si sia affatto discostato da quelli che i sovranisti chiamano “organi tecnocratici”. Da una parte, insomma, ci sono gli appelli in favore degli “ultimi” – un po’ com’è proprio dei populisti in relazione al “popolo originario” – dall’altra sempre Magister ha registrato una certa prossimità con emisferi per nulla periferici dell’economia mondiale. “Perché mentre egli predica senza tregua contro i ricchi Epuloni – che mai però identifica e chiama per nome –, gli uomini più ricchi del mondo e i superpotenti della finanza fanno ressa per essere ricevuti da lui. E lui non solo li accoglie a braccia spalancate, ma li colma di elogi”, ha detto e scritto di recente il giornalista sopracitato.
Chi si è occupato di ricostruire la parabola intellettuale del pensiero papale, cioè Massimo Borghesi nel suo “Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale. Dialettica e mistica”, edito da Jakabook, ha cristalizzato in questo modo il paradigma politico del Santo Padre: “Bergoglio rappresenta, nella sua apparente semplicità, una figura complessa. È, nella sua personalità, una complexio oppositorum. Quest’uomo, che viene criticato da pontefice per essere troppo preoccupato per le sorti del mondo, è un “mistico””.
Bisogna annotare come questa complessità degli opposti sia vista dai critici dei Bergoglio come la matrice di una spiccata dose di “ambiguità”. “È quindi con grande dolore che negli ultimi anni abbiamo dovuto constatare che la chiarezza dottrinale e morale, su questioni legate alla tutela della vita umana e della famiglia, è stata sempre più sostituita da dottrine ambigue e persino direttamente contrarie all’insegnamento di Cristo e ai precetti della legge naturale”, hanno scritto alcuni esponenti del fronte pro life ormai due anni fa. Vale per quell’ambito teorico, ma anche per altri. E per quanto il dibattito sul “Bergoglio politico” possa essere contorto e frutto di argomentazioni tanto profonde quanto antitetiche a seconda dell’idea dell’autore che si prende in considerazioni, delle costanti, nell’azione politica di Papa Francesco, esistono eccome.
La battaglia di Papa Francesco contro il sovranismo di destra
“Il sovranismo è chiusura”. Con questo virgolettato, che Bergoglio ha pronunciato durante la scorsa estate, può essere fotografato l’epico combattimento che il Santo Padre sta mettendo in atto contro l’ideologia sovranista, che è composta essenzialmente da tre elementi: il richiamo al “popolo originario” di una nazione; la sussistenza di un leader e di una leadership riconosciuta; il continuo appello volto al ripristino di una presunta sovranità perduta a causa di terzi. L’Unione europea rappresenta il “terzo” per i sovranisti continentali. Gli Stati Uniti raffigurano il “terzo” per i populisti sudamericani.
La politologia, su questo trittico di caratteristiche, è abbastanza concorde. L’effetto primario della vittoria del sovranismo è la riproposizione di alte mura di sbarramento. E il Papa, quando intensifica la sua critica ai sovranisti, non disdegna affatto ribadire la positività del concetto di sovranità: “Il popolo è sovrano (ha un modo di pensare, di esprimersi e di sentire, di valutare), invece i populismi ci portano a sovranismi: quel suffisso, ‘ismi’, non fa mai bene”. Non è tanto la struttura empirica del sovranismo a sollevare le preoccupazioni del vescovo di Roma, ma la declinazione pratica: i “porti chiusi” al popolo non originario, cioè a quello che proviene dalle ultracitate “periferie economico-esistenziali”. Il sovranismo-populista è un avversario del multiculturalismo, che è invece perseguito come evangelico da questo pontificato. Bergoglio stesso è un leader. E il “popolo di Dio” è a sua volta un popolo.
Ma il “popolo” che prende in esame Francesco non può badare troppo ai confini, perché “se partiamo dai preconcetti sugli altri, da idee prestabilite, vedremo sempre limiti e barriere. Se invece incominciamo a incontrare l’altro, con la sua storia, con la sua realtà, scopriremo un fratello col quale abitare la casa comune, abitare il creato che non ha frontiere”. Il Papa, dunque, è un anti-sovranista perché è un fautore dell’accoglienza erga omnes, verso tutti, in nome della fratellanza universale.
Una nozione che nel lato destro del campo sovranista non è condivisa. Quello che pensa Steve Bannon sul pontefice argentino è esemplificativo:”Vuoi coltivare un’immagine mediatica del campione dell’uomo che lavora, sei grande, ma in realtà devi difendere il povero e non con i ricchi e i potenti che guidano l’Onu e l’Ue a favore dei loro programmi internazionalisti a spese dei piccoli”.
Torniamo, come si vede bene, dalle parti delle “ambiguità” di cui sopra. Il 2020 è alle porte. Donald Trump è il principale catalizzatore del populismo occidentale. Il Vaticano osserverà con attenzione l’esito delle elezioni americane. Se non altro perché il destino dell’ideologia sovranista è legato ai risultati elettorali del prossimo novembre. Se Trump perdesse, cadrebbe un architrave. Joe Biden, che di recente si è visto negare l’eucaristia da un consacrato in quanto politico abortista, sarebbe un presidente degli Stati Uniti meno avverso alla “Chiesa in uscita”?
La battaglia di Papa Francesco in favore dell’ambientalismo
“Le parole espresse oggi da Papa Francesco ed il suo accorato appello ‘per la salvaguardia del creato mediante una sempre più attenta tutela e cura per l’ambiente’ lo propongono come il vero leader del movimento ambientalista mondiale”. A dirlo, nel 2017, è stato uno dei principali esponenti dei Verdi italiani, Angelo Bonelli. Laudato Sì è, in effetti, la prima encliclica ambientalista della storia ecclesiastica. E la pastorale sull’ambiente di Jorge Mario Bergoglio – pastorale che si è rafforzata grazie al Sinodo panamazzonico – è una variabile indipendente di questi quasi sette anni di pontificato.
Il fatto che il primo pontefice gesuita avesse scelto di chiamarsi “Francesco” – da sempre un nome simbolo di contestazione ai potentati curiali, dunque abbastanza scomodo in ottica pietrina – non preludeva affatto allo sviluppo di accenti ecologisti. Joseph Ratzinger ha spiegato come il Santo di Assisi non possa essere interpretato alla stregua di una Greta Thunberg dei tempi addietro: “Non era un ecologista”. Eppure la simbologia francescana di Bergoglio viene spesso utilizzata, in chiave mediatica, come pilastro della narrativa progressista, che è tutta organica ai o ammiratrice dei Friday For Future. Il Papa non si è iscritto al “gretathunberghismo”, ma ha invitato la giovane attivista svedese ad andare avanti. Un incoraggiamento papale per l’eroina di chi vorrebbe ridurre i voli in aereo. E, come Greta, il Santo Padre non sembra aver individuato la Cina e le altre nazioni in via di sviluppo quali responsabili del possibile “collasso ambientale”.
L’apertura a Oriente
Papa Francesco e Greta Thunberg sembrano avere soltanto l’Occidente in mente. Se la motivazione data da Greta è divenuta pubblica mediante un classico cinguettio su Twitter, in cui la ragazza spiegava come i suoi accenti, magari un po’allarmistici, non potessero essere circoscritti a questa o a quell’altra nazione, il perché il Santo Padre sembri prefererire con decisione il Sud America o l’Asia al l’Europa o al Nord America è stato spiegato dallo stesso Bergoglio, mentre era di ritorno dalla visita apostolica in Giappone e Thailandia: “Questa – ha dichiarato in quella occasione, come riportato da L’Osservatore Romano – è un’opinione personale, ma credo che all’Occidente manchi un po’ di poesia in più. Ce ne sono di cose poetiche bellissime, ma l’Oriente va oltre. L’Oriente – ha aggiunto – è capace di guardare le cose con occhi che vanno oltre, non vorrei usare la parola “trascendente” perché alcune religioni orientali non fanno cenno alla trascendenza ma ad una visione oltre il limite dell’immanenza, senza però dire trascendenza. Per questo uso espressioni come poesia, gratuità, la ricerca della propria perfezione nel digiuno, nelle penitenze, nella lettura della saggezza dei saggi orientali. Credo che a noi occidentali farà bene fermarci un po’ e dare tempo alla saggezza”.
La Cina, d’altro canto, è divenuta una meta ventilata per l’anno venturo. Bergoglio, dopo la stipulazione dell’accordo provvisorio per la nomina dei vescovi, potrebbe davvero riuscire nell’intento di toccare il suolo cinese come autorità spirituale riconosciuta: “Amo la Cina”, ha confidato il successore di Pietro.
L’ambientalismo, e le sue sfaccettature dogmatiche, diviene così uno strumento per acquisire consapevolezze sullo stile politico del vescovo di Roma. Perché la difesa del Creato, che il Papa vorrebbe coadiuvare mediante l’introduzione del Catechismo dei “peccati ecologici”, è uno dei fulcri di un’altra lotta papale. Quella mossa contro le distorsioni del capitalismo occidentale.
La battaglia di Bergoglio contro il capitalismo occidentale
Una delle motivazioni che circolano tra gli addetti ai lavori quando ci si interroga sul perché questo Papa venga attaccato con tanta costanza da destra recita più o meno così: “Perché si oppone ai potentati economici del mondo”. Nel corso del prossimo mese di marzo, Assisi diventerà il teatro di un’iniziativa che sarà in grado di chiarire l’obiettivo a lungo termine di questo pontificato: “The Economy of Francesco”. Un’iniziativa che ha tutta l’aria di essere una manifestazione critica nei confronti delle logiche insite in quella che viene chiamata “economia finanziarizzata”.
Ma le distorsioni della economia finanziarizzata, quelle che per Bergoglio producono le “diseguaglianze sociali”, costituiscono l’avversario di un altro attore centrale della politica contemporanea: il sovranismo-populista. Il premier britannico Boris Johnson e la maggior parte dei cittadini britannici – ora si può dire con contezza – hanno ragionato sulla Brexit come soluzione migliore. Donald Trump ha imposto dazi e caldeggiato l’idea di un panorama economico costruito attorno agli accordi bilaterali.
La diagnosi per Bergoglio e per i sovranisti è la stessa: le diseguaglianze sociali sono un effetto della cattiva o della non gestione della globalizzazione. Sono le ricette a mutare a seconda del soggetto proponente. Ecco cosa si legge sul sito ufficiale della manifestazione umbra: “Il nome dell’evento ha chiaro riferimento al Santo di Assisi, esempio per eccellenza della cura degli ultimi della terra e di una ecologia integrale, ma rimanda anche a Papa Francesco, che fin dall’Evangelii Gaudium e poi nella Laudato si’, ha denunciato lo stato patologico di tanta parte dell’economia mondiale invitando a mettere in atto un modello economico nuovo”.
La “dottrina Bergoglio” si propone di edificare un rinnovato modello di statura globale. Un nuovo abito da far indossare a tutti. E lo stesso messaggio è rivolto all’intero globo. Ai sovranisti, in modo diametralmente opposto, interessa solo il piano particolareggiato: la natura identitaria delle singole economie, che vanno difese e tutelate dal “terzo” di cui si è già detto. Esplicitato mediante altre parole: i sovranisti vorrebbero cancellare l’idea di “mondo globalizzato” in sé e per sé; il vertice della Chiesa cattolica potrebbe essere di un’altra opinione.
La presunta “alleanza” con l’islam
Per conoscere a fondo il pensiero critico che il Santo Padre continua ad esibire in direzione dei fautori della globalizzazione, è importante tenere a mente quanto dichiarato a IlGiornale.it dal professor Alberto Ventura nel febbraio del 2019: “Benedetto XVI intendeva soprattutto combattere ogni forma di relativismo, e questo lo portava a rimarcare le differenze più che cercare punti di contatto. Francesco, al contrario, è più impegnato contro la globalizzazione mondiale, e dunque cerca forse in un’altra visione religiosa un potenziale alleato per contrastare la secolarizzazione selvaggia del pianeta”. Erano i tempi del “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”. Poi, il Vaticano e l’imam di al-Azhar hanno proposto all’Onu l’istituzione di una giornata mondiale della Fratellanza universale.
L’orologio scorre, ma le motivazioni di fondo restano. E il dialogo interreligioso prosegue. Una delle ragioni per cui il Santo Padre viene spesso chiamato in causa dagli occidentalisti è proprio questa presunta alleanza strutturale con l’islam. Il “fronte tradizionale” ha attaccato il vescovo di Roma, perché nella Dichiarazione di cui sopra sarebbe contenuta una sorta di equiparazione gerarchica tra confessione cristiano-cattolica e confessione musulmana. E questo, in punta di dottrina, non viene reputato ammissibile dai conservatori.
Il parere di Ventura, però, è di ausilio. Bergoglio potrebbe aver intravisto un alleato nella battaglia per il cambiamento economico e sociale. Un fattore che, al pari della mancata disapprovazione dell’ideologia comunista persistente in Cina, della pastorale per l’accoglienza erga omnes e della prossimità con le istanze cavalcate da Greta Thunberg, allontana il Papa dalle simpatie dei fedeli conservatori e sovranisti.
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