Le sardine imparino dalla Brexit: conta solo il voto, non la piazza
Sento già le critiche: ma che c’entra la Brexit con le sardine? Dal punto di vista ittico, nessuno. E pure sul piano politico. Non ho idea di quale sia la posizione delle sarde nostrane sull’abbandono dell’Ue da parte di Londra (a ben vedere non sappiamo praticamente nulla sul loro programma politico, sempre che ne abbiano uno).
Ma non è questo il punto. Qui vorremmo suggerire una riflessione sul ruolo delle piazze, sugli entusiasmi di chi osserva le strade invase dai seguaci di Mattia Santori&co. Quel che conta in democrazia è il voto, il sentimento popolare, la maggioranza delle preferenze sulla base della legge elettorale. Non è una gara a chi riempie di più la piazza o ottiene il sostegno di giornali, commentatori, artisti e Very Important People. La scheda elettorale pesa più della sardina di cartone.
Dopo il voto sulla Brexit nel 2016, risultato inatteso e che ha sconvolto chi lo credeva impossibile, la maggioranza degli osservatori si era quasi convinta che i britannici ci avessero ripensato. Che fosse stato solo un errore. Un inciampo. I giovani avevano disertato le urne e così la generazione Erasmus era stata sconfitta dai vecchi (bacucchi) incantati dalle sirene di Nigel Farrage e BoJo. Tutto un malinteso. Un errore cui occorreva rimediare. Pochi mesi dopo, i sondaggi assicuravano: i sudditi di Sua Maestà ci hanno ripensato, oggi non prenderebbero lo stesso abbaglio.
Già a giugno di tre anni fa i giornali dedicavano ampio spazio alla petizione per un nuovo referendum sulla Brexit. I tre milioni di firme, il sito di Westmister “in tilt a causa dei troppi accessi” e la nuova ventata europeista solleticavano le fantasie di molti. Poi le manifestazioni di piazza fecero il resto. A giugno 2018 Repubblica incensa una delle “più grandi dimostrazioni nella capitale inglese dopo quelle della guerra contro l’Iraq”: per strada erano scesi in centomila, “un mare di folla contro la Brexit”. Il 23 marzo del 2019 Rep esalta la “marea umana” che invade la City: “Siamo un milione, vogliamo un referendum”. I voti per abolire la Brexit arrivano a 4 milioni. Nel settembre dell’anno prima erano scese in piazza altre 700mila persone. Poi la storia si ripete il 31 agosto di quest’anno, quando ben 30 città si mobilitano contro Boris Johnson, la sua scelta di sospendere il Parlamento e in generale contro la Brexit. Infine, il 19 ottobre una fiumana di persone va in piazza per urlare che “la Gran Bretagna ha cambiato idea, facciamo il referendum”. Le foto lo dimostrano: se non c’era il milione di gente rivendicato dagli organizzatori, il colpo d’occhio era comunque impressionante.
Tutto molto bello. Democratico. Legittimo. Lodevole. Ma non indicativo. Riempire una piazza, organizzare decide di cortei in tre anni, protestare in piazza contro qualcuno o contro qualcosa non significa navigare dalla parte del giusto. Né assicura di essere maggioranza. I tifosi del Remain l’hanno capito ieri sera: “Britain, what the fuck”, ha scritto una collega su Facebook. Com’è stato possibile? Facile. Johnson ha guidato una campagna elettorale chiara e senza distinguo (“Get Brexit done”) e oggi è l’addio all’Ue a convincere gli elettori britannici. Non il Remain. Nonostante il fiume di manifestati scesi in questi anni per strada. I loro concittadini pero-Brexit sono rimasti in casa, ma hanno fatto pesare il diritto di voto al momento opportuno. Semplice.
Lo stesso dicasi per le sardine italiane (ed è un suggerimento in vista del grande evento di Roma). L’entusiasmo dei commentatori per i flash mob di mezza Italia è contagioso. Fa sorridere. Hanno detto che finalmente sta tornando la partecipazione politica contro le parole di odio dei populisti. Il valore della “testa” contro quello della “pancia”. “Avete il diritto di parlare, ma non avete il diritto di qualcuno che vi venga ad ascoltare”, scrivono nel loro manifesto. Ed è proprio questo l’errore: populisti e nazionalisti, puzzoni alla Salvini, Meloni, Trump e Johnson non solo hanno “diritt” di essere ascoltati. Ma a quanto pare (per ora) riescono pure a farlo meglio degli avversari. Anche se non organizzano cortei spontanei. Anche se non coinvolgono fiumane di persone. Perché loro l’hanno capito: quel che conta è il numero dei voti finali. Non il peso, non la qualità. E neppure un’intera piazza piena di sardine.