Di Maio cede: il voto sul Mes senza pericoli
La grande sceneggiata sul Mes – il Meccanismo europeo di stabilità su cui da settimane si confrontano M5s e Pd – andrà in scena oggi tra Camera e Senato.
E seguirà il banale e scontato spartito già scritto da tempo, con il Movimento che metterà nero su bianco con un voto in Parlamento l’ennesima, gigantesca giravolta. E con la macchina della comunicazione grillina che veicolerà in ogni dove – sui social in particolare – la narrazione epica di una grande vittoria del M5s. Lo schema è lo stesso di sempre, visto e rivisto con la Tap, la Tav o l’Ilva. Conversione a «U» rispetto al tanto celebrato programma con cui Luigi Di Maio si è presentato agli elettori nel 2018 e costante crollo nei consensi, ormai nei sondaggi al minimo storico.
Dopo aver tanto alzato la voce, al punto da non presentarsi al fianco di Giuseppe Conte nell’ultima informativa del premier al Senato lo scorso 2 dicembre, il ministro degli Esteri si è dunque nuovamente piegato alla ragion di Stato. E oggi il M5s voterà insieme al Pd una risoluzione nella quale si dà un sostanziale via libera alla riforma del cosiddetto Fondo salva-Stati. Certo, lo storytelling dei comunicatori grillini vuole che ieri i parlamentari M5s si siano confrontati fino a notte per limare i punti più sensibili di un testo che pur di tenere dentro tutto dovrebbe arrivare al formato extra large di sei-sette pagine. Ci sarà l’impegno dell’esecutivo a negare qualsiasi tipo di ristrutturazione automatica del debito e si andrà avanti con la logica del «pacchetto» legando la riforma del Mes all’Unione bancaria e alla salvaguardia dei depositi.
Ma la sostanza politica sta nelle parole pronunciate ieri già ad ora di pranzo da Di Maio, appena terminato l’incontro con i suoi senatori. «A gennaio – ha detto – si faranno approfondimenti su alcune criticità del Mes. Nella risoluzione vogliamo creare tutte le tutele per cui il Parlamento debba essere ulteriormente consultato nelle prossime settimane in modo tale da dare una linea chiara al prossimo Eurogruppo». La traduzione del politichese – al quale il leader grillino è sempre più avvezzo – è piuttosto banale: oggi il Parlamento voterà un testo che di fatto non stoppa il Mes, permette a Conte di presentarsi senza le mani legate al Consiglio europeo di domani a Bruxelles e rinvia a gennaio un eventuale confronto sulle criticità.
I riflettori, ovviamente, saranno puntati sul Senato, dove i numeri della maggioranza sono decisamente più risicati. Lo scorso 10 settembre il Conte 2 incassò la fiducia con 169 voti a favore e quello sarà ovviamente il termine di paragone per una valutazione politica della salute del governo. Anche se oggi, trattandosi di una risoluzione, non servirà la maggioranza assoluta di Palazzo Madama ma basterà la maggioranza semplice. Le previsioni a ieri sera, nonostante i mal di pancia dei senatori M5s, parlavano di tre o quattro voti contrari tra i grillini, quindi un numero decisamente non sufficiente ad aprire un problema «politico» nel governo. A testimonianza del fatto che non sembra esserci l’intenzione di rompere, peraltro, c’è la scelta dei dissidenti grillini di non presentare comunque una risoluzione contraria al Mes che avrebbe potuto trovare i voti della Lega o di Fratelli d’Italia creando sì un problema all’esecutivo. Il senatore Gianluigi Paragone, in verità, per tutta la giornata di ieri ha detto ai suoi colleghi di essere «propenso a farlo», ma a tarda sera della sua risoluzione ancora non c’era traccia.
D’altra parte, i parlamentari M5s – come lo stesso Di Maio – sanno bene che se davvero si arrivasse ad una crisi di governo ed eventualmente ad elezioni anticipate solo un quarto di loro rimetterebbe piedi in Parlamento. Ed è del tutto evidente che la prospettiva di altri due anni e mezzo di legislatura – e di stipendio – sia un ottimo digestivo per mandar giù qualche voto sgradito. È già accaduto e succederà ancora.
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