Libia, Conte torna a mani vuote da Londra

Non è stata una due giorni entusiasmante per Giuseppe Conte in quel di Londra. Al vertice Nato ospitato nella capitale britannica, il nostro presidente del consiglio ha dovuto giocare sulla difensiva, puntando gran parte delle sue fish nel bilaterale finale con Donald Trump. A quest’ultimo è stato chiesto un intervento sulla Libia a favore del premier Al Sarraj, sostenuto dal nostro paese.

Quelle spiegazioni che non convincono

Già nel primo giorno di summit per l’Italia le cose non si sono messe bene. Ha destato, come del resto era inevitabile, un certo scalpore il mancato invito rivolto a Giuseppe Conte in un mini vertice a 4 durante le prime ore di lavoro del summit londinese. In quel vertice, a cui hanno partecipato i leader di Germania, Regno Unito, Francia e Turchia, si è discusso di Libia. L’assenza di Conte ha quindi fatto non poco rumore. Gli echi delle polemiche sono evidentemente arrivati dritti nella capitale britannica, visto che lo stesso presidente del consiglio ha tenuto a precisare che in realtà quell’incontro a 4 puntava sulla Siria e non sulla Libia. Ma questo già lo si sapeva, la spiegazione è poco convincente almeno per due motivi. In primis, la Siria non dovrebbe essere un dossier lontano dalle mire italiane.

Il nostro paese, prima dell’inizio della guerra e quando ancora l’ex presidente Napolitano si recava a Damasco per esprimere elogi ad Assad, era il primo partner commerciale europeo della Siria. Il peso che le nostre scelte politiche potrebbero dare al dossier non sarebbe affatto indifferente. Lo scorso anno si parlava addirittura di una riapertura della nostra ambasciata nella capitale siriana, una circostanza che avrebbe posto l’Italia come il primo paese occidentale a compiere questo passo. Poi non si è fatto più nulla, la Siria è sparita dai nostri radar. Ma non per questo Roma deve accettare di essere esclusa dai mini summit che riguardano il paese arabo. Se c’è la Germania, può benissimo starci anche l’Italia.

In secondo luogo, quell’incontro aveva nel mirino la Siria ma ha anche prodotto un documento politico sulla Libia. Un testo peraltro che prova a spianare la strada all’annunciata conferenza di Berlino (slittata, se tutto va bene, a gennaio), in cui si fa riferimento al sostegno ad un piano politico architettato con le Nazioni Unite. Il fatto che manchi una firma italiana in quel documento, non è un bel segnale per Roma ed è questo ciò che poi ha acquisito un certo peso sotto il profilo politico.

L’incontro con Trump

Brutti segnali dunque, ma non è nemmeno tutta colpa di “Giuseppi”. Il fatto più dirompente è che all’Italia manca un ministro degli esteri. Non da ora, da almeno due o tre governi, ma oggi l’assenza di un titolare di peso della Farnesina si fa sentire maggiormente. Angelino Alfano era a “fine carriera”, Enzo Moavero Milanesi era un tecnico poco avvezzo alle dinamiche politiche, Luigi Di Maio è leader di un partito in lento declino. Quando in Giappone era in corso la riunione dei ministri degli esteri del G20, Di Maio era in giro per la Sicilia a promettere interventi rapidi nei comuni colpiti dal maltempo. Era cioè impegnato a fare campagna elettorale per il suo movimento in piena emorragia di consensi. Giuseppe Conte, dal canto suo, non ha il tempo materiale per fare sia il premier che il ministro degli esteri. Lo scorso anno il capo dell’esecutivo andava personalmente in Libia, coordinava di suo pugno gli incontri con Al Sarraj ed Haftar. Quest’anno l’agenda di Conte è letteralmente inghiottita dai pesanti e vitali dossier interni, oltre che dai costanti scricchiolii della maggioranza. Per cui, l’unica cosa che il presidente del consiglio poteva fare era abbozzare una strategia di emergenza puntando tutto sull’amicizia personale con Trump.

Un’amicizia che in effetti, nel corso della conferenza stampa successiva al bilaterale tenuto a Londra a margine del summit Nato, lo stesso presidente Usa non ha nascosto. Lodi ed apprezzamenti non sono mancati per “Giuseppi”, ma questo, si sa, non si traduce automaticamente in incondizionati appoggi politici. Conte ha posto sul piatto la partita libica, presentandosi con le innovazioni legislative sul 5g che a Trump sono piaciute perché pongono le basi per evitare possibili vantaggi alle aziende cinesi. Ed al presidente Usa, al momento, interessa solo questo. Non è suo interesse promettere di non imporre altri dazi al nostro paese, con lo stesso Conte che si è limitato a navigare nel campo delle impressioni dichiarando che i due non hanno affrontato il tema e che dunque l’Italia non si aspetta nuovi salassi.

Così come, non è interesse di Trump promettere l’aiuto degli Usa all’Italia sulla Libia. Il dossier è stato al centro del dibattito nel bilaterale: “Abbiamo parlato a lungo della Libia, abbiamo richiamato la sua sensibilità per una soluzione politica per la quale ci battiamo”, ha dichiarato il nostro premier. Alla fine però, stringi stringi, Conte non è riuscito a strappare una promessa certa: “Trump è molto attento, sa che noi conosciamo molto bene il dossier e sa che a dispetto di quello che semmai altri rappresentano, la nostra conoscenza di lungo periodo del territorio ci permette di fare delle valutazioni più accorte, più attente, e quindi più sostenibili anche in prospettiva futura”, ha affermato il capo dell’esecutivo. Riportando anche in questo caso dunque più impressioni che risposte secche del presidente Usa. Del resto, Washington sta già intervenendo in Libia e con una propria strategia, volta a far giungere ad un cessate il fuoco. Dunque, dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Stato non si ha molto interesse a far promesse al nostro paese.

Il punto è che l’Italia deve tornare ad avere una sua iniziativa sulla Libia: è vero che il nostro paese non può essere messo di lato, ma il rischio è che venga coinvolto soltanto a cose fatte, quando già tutto è stato deciso. Ed è questo a rappresentare il vero spauracchio per i nostri interessi nazionali nel paese nordafricano.

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