Così Tria e Conte hanno nascosto la trattativa sul Mes in Europa
C’è molto delle ricostruzioni, fatte dal premier Giuseppe Conte prima e dall’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria dopo, che non torna. Chi sapeva cosa della trattativa sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes)? Per il presidente del Consiglio è stato fatto tutto “in modo regolare”, mentre in una intervista a Repubblica l’ex titolare del Tesoro si è addirittura spinto a dire che “i due vicepresidenti del Consiglio fossero stati informati del buon risultato”.
Eppure Matteo Salvini continua a sbugiardarli, inchiodando l’avvocato del popolo alle sue colpe e accusandolo di “alto tradimento”. Per vederci chiaro bisogna fare però un salto allo scorso giugno, quando la rottura non si era ancora consumata del tutto ma qualcuno già tramava per farlo saltare.
L’estate scorsa, in un messaggio svelato nei giorni scorsi dal leghista Claudio Borghi, Salvini aveva messo in chiaro a Conte l’importanza di chiamarsi fuori dalle imposizioni di Francia e Germania. “Noi non firmiamo un cazzo”, gli aveva intimato senza troppi giri di parole. Ma la trattativa è andata avanti. Sotto banco, appunto. “I viceministri non erano miei viceministri ma di Conte, quindi non dovevo avvertirli io della trattativa”, ha ammesso anche Tria rivelando a In mezz’ora che “in Consiglio dei ministri non se n’è parlato perché non è quello il luogo”. E non è solo in Cdm che si sono guardati bene dal dire cosa stessero facendo a Bruxelles. Nemmeno in commissione sono stati toccati i punti della riforma. “Noi abbiamo reiteratamente invitato Tria a venire in Commissione e in Parlamento, senza sortire alcun effetto”, ha spiegato il leader leghista ieri. “Ci è sempre stato detto ‘tranquilli, non abbiamo preso alcun impegno'”. Poi la doccia fredda quando sui giornali è uscito che “qualcuno, magari per motivi non esclusivamente di interesse nazionale, l’impegno lo aveva già preso”.
Per legge, se ci sono dei punti rilevanti da esaminare e soprattutto dei trattati che riguardano questioni economiche, deve essere lo stesso ministro dell’Economia a presentarsi nelle commissioni competenti senza nemmeno essere convocato. “Tria non è mai venuto a riferire sul Mes alla V commissione della Camera (Bilancio, Tesoro e programmazione, ndr), da me presieduta”, spiega al Giornale.it Borghi. Non solo. Prima dell’Eurogruppo dello scorso giugno era stato chiamato dalla VI commissione di Palazzo Madama, quella presieduta da Alberto Bagnai, ma non si è mai presentato. “A differenza dell’attuale ministro Roberto Gualtieri – conferma al Giornale.it il senatore leghista – Tria era un po’ restio a presentarsi alle Camere”. Quando lo ha fatto, in audizione dopo il Consiglio di giugno, parlò di tutt’altro. Alla domanda puntuale di Andrea De Bortoli (FdI), prima tergiversò, spiegando che il tema era materia di Eurogruppo e non di Ecofin, poi disse che c’erano molte questioni su cui soprassedeva. Al botta e risposta si può risalire recuperando lo stenografico del Senato. “Le chiedo se sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità ci può dire qualcosa di più, anche alla luce della risoluzione approvata lo scorso giugno in Parlamento”, chiedeva il senatore di Fratelli d’Italia. “Abbiamo ottenuto quello che volevamo, le correzioni, in un ambito di generale compromesso”, si era limitato a dire Tria ammettendo che all’Ecofin c’era “stata una battaglia anche molto dura su alcuni punti”. Tra questi “le metodologie di stima della stabilità del debito”. “Abbiamo ottenuto che non fosse approvato il fatto di pubblicare le metodologie perché si potessero utilizzare questi sistemi di calcolo in modo anticipato per fare un rating sui debiti – aveva poi concluso l’allora ministro dell’Economia – ci sono molte altre questioni, su cui non entro”. Non una parola di più.
Insomma, Tria è sempre stato restio a rivelare i contorni della trattativa sulla riforma del Fondo salva-Stati. Borghi fa notare, però, che la reticenza dell’ex ministro a presentarsi in commissione viola gli articoli 4 e 5 della legge 234 che impegnano il governo, “prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo”, a illustrare alle Camere “la posizione che intende assumere”. Posizione che deve comunque tener conto “degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati”. “Per quanto mi riguarda – spiega il deputato leghista che presiede la commissione Bilancio di Montecitorio – non avevo motivo di pensare che la trattativa fosse problematica perché su questo tema c’era assoluto allineamento tra la posizione della Lega e del Movimento 5 Stelle”. Anche Bagnai, col senno del poi, ammette che la procedura adottata l’estate scorsa lascia molti dubbi. Anche perché le comunicazioni tra il suo ufficio e quello del dicastero di via XX Settembre avvenivano solo “per le vie brevi”, ossia telefonicamente. “La prassi era quella – ci spiega – la cosa mi aveva anche un po’ stupito… Ora, alla luce degli ultimi episodi, ho chiesto che venga sempre mantenuta traccia scritta”.
A fronte di tutte queste rivelazioni appare un po’ difficile credere a Conte quando dice che “tutti i ministri erano stati informati”. Di certo il parlamento non è mai stato aggiornato. E qualche dubbio sorge sul fatto che tutto il governo fosse stato allineato sulle mosse del premier a Bruxelles. Persino Luigi Di Maio, che non ha certo preso bene le accuse mosse dal premier durante l’informativa di lunedì scorso, ha dovuto ammettere che, per quanto anche loro dei Cinque Stelle sapessero che “il Mes era arrivato ad un punto della sua riforma”, erano convinti che dovesse rientrare in “un pacchetto che prevede anche la riforma dell’unione bancaria e l’assicurazione sui depositi”. Così non è stato. Il pasticcio fatto da Conte in Europa l’estate scorsa è riuscito a scontentare tutti i partiti che siedono in parlamento. E, se dovesse entrare in vigore così, rischia pure di penalizzare duramente gli italiani.
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