Tra Pd e M5S botte da orbi su prescrizione e Mes. Il Conte-bis sempre più vicino al capolinea
Le rassicurazioni di Di Maio sul Mes non bastano a riportare il sereno nella maggioranza. Dire – come ha fatto il M5S – che sul fondo salva-Stati il governo non rischia, è persino scontato. I grillini sono in picchiata nei sondaggi e nulla, ma proprio nulla, li convincerebbe a far cadere il Conte-bis. Il governo è in coma, ma respira. A staccargli la spina potrebbe essere semmai il Pd. Il partito di Zingaretti è già impegnato in un braccio di ferro con il M5S sul tema della prescrizione. Al momento la situazione non sembra trovare vie d’uscita. E tutto lascia prevedere che la melina orchestrata da Di Maio e Bonafede per tagliare senza modifiche il traguardo del 1° gennaio, giorno in cui la riforma entrerà in vigore, finirà per esacerbare ulteriormente i rapporti.
La strategia della disperazione di Di Maio
Nel frattempo, però, è il Mes ad avvelenare i pozzi della coalizione che sostiene il Conte-bis. Le rassicurazioni di Di Maio sono momenti tattici di una strategia della disperazione figlia di tante cause. A cominciare dal ritorno di Di Battista che dalle colonne del Fatto Quotidiano ha ripreso a canticchiare il motivetto del ritorno alle origini. Inutile rimarcare che la prima vittima del nuovo antico corso sarebbe proprio l’attuale capo politico dei Cinquestelle. Da qui la strategia dello stop and go e del tirare a campare in attesa di tempi migliori.
Il Conte-bis appeso a un filo
Ma è una prospettiva che non piace affatto al Pd. Anche perché passa necessariamente per l’inasprimento dei rapporti con l’Europa. Le frizioni con la Ue significano la risalita dello spread (già in atto) e quindi la fine della storiella del Pd come unico partito affidabile. Prova ne sia il retroscena di Francesco Verderami sul Corriere della Sera che dà conto della sempre più malcelata insofferenza dei dem verso l’alleato grillino. Che l’allarme stia superando il livello di guardia è certificato dal fatto che a farsene portavoce è il ministro Franceschini, il primo a teorizzare l’accordo con Di Maio. In pratica, il vero padre del Conte-bis.