Così Conte ha beffato il Parlamento
È stato un blitz in piena regola quello che ha consentito alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità di essere approvato “dall’alto” senza passare dalle porte del Parlamento italiano. Nonostante la modifica del Mes fosse un boccone velenosissimo per l’Italia, nonostante una buona fetta del governo giallorosso fosse contraria alla trasformazione del Fondo salva-Stati e nonostante lo stesso Parlamento avesse chiesto espressamente di essere informato di poter deliberare sulla materia, alla fine è arrivata la doccia fredda che tanti avevano predetto. “Se chiedete se è possibile riaprire il negoziato, vi dico che no, non è possibile farlo”: queste sono le dichiarazioni uscite dalla bocca del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, nel corso dell’audizione in commissione Finanze del Senato proprio sulla bozza di riforma del trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità. In altre parole, la riforma verrà messa nero su bianco a febbraio. Che piaccia o meno.
Parlamento silenziato
Ci troviamo di fronte a una situazione preoccupante, perché il messaggio di Gualtieri è chiaro: possiamo discutere del Mes per giorni interi, riempire pagine e pagine di giornali, ma il testo è già stato concordato e indietro non si torna. Eppure il Parlamento italiano, silenziato in malo modo, o per meglio dire beffato da Giuseppe Conte, si era fatto legittimamente sentire alzando la mano nel momento opportuno. Niente da fare, perché il governo lo ha scavalcato con un gioco di prestigio avallando la riforma in totale autonomia. La morale della favola è che l’Italia si ritroverà tra le mani un trattato non più modificabile e che per giunta le potrebbe arrecare anche diversi danni. L’esecutivo giallorosso marcia nella stessa direzione? Per niente, visto che, come ha sottolineato Il Fatto Quotidiano, un gruppo di parlamentari del Movimento 5 Stelle ha provato a piazzare una risoluzione “che impegnava il governo a non dare il via libera alla riforma del Mes” senza prima trovare un accordo complessivo comprendente anche la cosiddetta garanzia comune sui depositi. Ancora una volta, niente da fare: iniziativa bloccata, anche grazie all’intervento in extremis di Luigi Di Maio.
Il Mes “non è più modificabile”
Per capire meglio l’origine della beffa dobbiamo analizzare la “logica del pacchetto“, una formula che comprende la creazione di uno strumento di bilancio per la competitività e la convergenza nell’Eurozona (Bicc) oltre a un approfondimento dell’Unione bancaria con la citata garanzia dei depositi. Lo scorso giugno, due giorni prima dell’Eurosummit e sei dopo l’accordo raggiunto dai ministri dell’Economia dell’Eurozona sulla bozza di riforma del Mes, Conte riferì in Parlamento la posizione del governo in merito al funzionamento del nuovo Fondo salva-Stati. La tensione era alle stelle, tanto che Lega e Movimento 5 Stelle si accordarono per dare vita a una risoluzione capace di affossare il piano del premier. L’Avvocato del popolo riuscì però a evitare il peggio, chiedendo ai due partiti di rimuovere un paragrafo particolarmente fastidioso. Quello in cui il Parlamento avrebbe potuto impegnare il governo “qualora nell’ambito della riforma del Mes le predette condizioni non vengano accettate, ad opporsi, con ogni atto e in ogni sede opportuna, alla negoziazione e all’accettazione nonché alla conclusione della predetta riforma e di ogni ulteriore implementazione”.
Tutto era già stato deciso
In ogni caso, tralasciando la fumata bianca, il testo conteneva una traccia degna di nota e non rispettata: il governo rimaneva vincolato e doveva “render note alle Camere le proposte di modifica al trattato Mes al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato”. Come ha confermato lo stesso Gualtieri, tutto ciò non è mai avvenuto. Anzi, abbiamo scoperto che il testo del Mes fu definito a giugno, e che adesso, come abbiamo visto, è inemendabile. Così, dunque, Conte avrebbe violato la risoluzione di maggioranza che obbligava l’esecutivo a non approvare nessun documento potenzialmente dannoso per l’Italia.
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