Alzheimer, scoperta molecola che “ringiovanisce” il cervello
È tutta italiana la scoperta che potrà portare benefici nel contrasto alla malattia di Alzheimer. Il team di ricercatori ha infatti individuato la molecola che “ringiovanisce” il cervello, favorendo la nascita di nuovi neuroni e contrastando i difetti che accompagnano le fasi precoci della malattia.
Una scoperta che apre nuove possibilità per la diagnosi e per la cura dell’Alzheimer. Secondo quanto viene riportato, la nascita di nuovi neuroni nel cervello adulto (neurogenesi) si riduce in una fase molto precoce della malattia. Tale alterazione è causata dall’accumulo, nelle cellule staminali del cervello, di aggregati altamente tossici della proteina beta Amiloide, chiamati A-beta oligomeri. Nel corso degli studi, i ricercatori sono riusciti a neutralizzare gli A-beta oligomeri nel cervello di un topo malato di Alzheimer introducendo l’anticorpo A13 all’interno delle cellule staminali del cervello. In questo modo è stata riattivata la nascita di nuovi neuroni con il conseguente ringiovanimento del cervello. Con questa tecnica si vanno quindi a recuperare per l’80% i difetti causati dalla patologia di Alzheimer nella fase iniziale.
“L’importanza di questa ricerca è duplice: da un lato – hanno spiegato dal team di ricerca come riporta AdnKronos – dimostriamo che la diminuzione di neurogenesi anticipa i segni patologici tipici dell’Alzheimer, e potrebbe quindi contribuire a individuare tempestivamente l’insorgenza della malattia in una fase molto precoce; dall’altro, abbiamo anche osservato dal vivo, nel cervello del topo, l’efficacia del nostro anticorpo nel neutralizzare gli A-beta oligomeri proprio all’interno dei neuroni”.
La ricerca italiana pone in questo modo le basi per lo sviluppo di nuove strategie utili per la diagnosi e la terapia della malattia neurodegenerativa. Un grande passo in avanti visto che il 50-70% delle persone affette da demenza soffrono di Alzheimer. “Riuscire a monitorare la neurogenesi nella popolazione adulta offrirà in futuro un potenziale strumento diagnostico per segnalare l’insorgenza dell’Alzheimer in uno stadio ancora molto precoce, cioè quando la malattia è clinicamente pre-sintomatica – hanno sottolineato -. Inoltre l’utilizzo terapeutico dell’anticorpo A13 permetterà di neutralizzare gli A-beta oligomeri dentro i neuroni, laddove si formano per la prima volta, colpendo così l’evento più precoce possibile nell’evoluzione della patologia”.
Lo studio interamente italiano, coordinato da Antonino Cattaneo, Giovanni Meli e Raffaella Scardigli, della Fondazione Ebri Rita Levi-Montalcini, in collaborazione con il Cnr, la Scuola normale superiore e il dipartimento di Biologia dell’università di Roma Tre, è stato pubblicato su Cell Death and Differentiation.
La malattia di Alzheimer
La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici. La demenza si manifesta con lievi problemi di memoria che portano grossi danni ai tessuti cerebrali in tempi diversi in base ad ogni singola persona. Secondo quanto riporta l’Iss, questa malattia oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. Non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi. Ora però questa nuova scoperta potrebbe aprire nuovi scenari.
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