Di Maio abbraccia la linea giudiziaria: “Piano B? Li trasciniamo in Tribunale”
Mentre i commissari straordinari di Ilva depositano in Procura a Taranto un esposto denuncia con al centro «fatti e comportamenti inerenti al rapporto contrattuale con ArcelorMittal, lesivi dell’economia nazionale». Al netto delle azioni giudiziarie, non c’è una soluzione politica: il premier Giuseppe Conte e i ministri brancolano nel buio. Affidandosi, di tanto in tanto, a slogan e minacce. Parla quasi tutta la squadra di governo. Ma solo per stare sul pezzo. Senza indicare alcuna via d’uscita. Stallo che il leader della Lega Matteo Salvini sottolinea: «Governo non si rivolga agli avvocati ma risolva il problema».
Il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, dal tour in Campania, tuona: «Trascineremo ArcelorMittal in Tribunale». Arriva secondo: le Procure di Taranto e Milano già indagano. Per il ministro Di Maio «non esistono piani b. Arcelor Mittal deve sentire la pressione di tutti i cittadini e del sistema Italia. Parlare di piani sulla nazionalizzazione o altra cordata è un modo per dire: puoi andare, tanto abbiamo un’alternativa. Per me il piano a, b, c, d, si chiama Arcelor Mittal e vedremo in tribunale, non tra anni ma tra settimane, quale sarà l’esito della procedura d’urgenza». Il capo politico dei 5 stelle boccia (ancora) lo scudo penale: «Chi parla dello scudo penale credo stia utilizzando un pretesto, lo pensano anche gli italiani».
La più lucida è Nunzia Catalfo, ministro del Lavoro, che in un’intervista a Sky Tg24 ammette la resa: «Sull’ex Ilva abbiamo allo studio delle norme che presenteremo nei prossimi giorni e che vadano a tutela dei lavoratori e garantiscano i livelli occupazionali. Stiamo studiando anche delle norme che consentano una riqualificazione del personale pure nel caso in cui ci sia una possibile riconversione dell’azienda». «La riconversione, ovviamente, è un progetto a lungo termine spiega Catalfo -, però si può investire in nuove tecnologie e riqualificare nel frattempo i lavoratori. Ovviamente non si può fare subito, ora in emergenza bisogna tutelare quello che c’è già, però contemporaneamente si può pensare alla nuove tecnologie e a medio o lungo termine riqualificare pensando forse di portare la siderurgia verso altri tipi di produzione».
Stefano Patuanelli, ministro Sviluppo economico, riesce a pronunciare solo un grazie ai commissari per l’esposto.
Parla da leader sindacale e non da componente del governo, il ministro della Salute Roberto Speranza: «Sull’ex Ilva di Taranto si gioca la vocazione industriale del Paese e una cosa deve essere chiara: non permetteremo mai la chiusura delle acciaierie di Taranto. ArcelorMittal chiede condizioni inaccettabili come la diminuzione della produzione e l’esubero di 5mila persone. Noi pensiamo che ci sia un contratto e che vada rispettato». Il ministro renziano Teresa Bellanova scappa a gambe levate: «Non devo dare consigli a nessuno, posso solo rammentare quello che è stato fatto e invitare a prendere tutto il buono di quello che è stato fatto. Io ho convocato e gestito 32 tavoli, è mia ferma convinzione che lo Stato deve affermare la sua credibilità e terzietà rispetto a un confronto che deve andare avanti tra l’azienda e le rappresentanze sindacali. Taranto non può morire. Bisogna togliere gli alibi, Mittal ha posto un problema, bisogna riportare la norma a com’era quando è stato sottoscritto l’accordo». Intanto, il tempo stringe. E il futuro dei 15mila lavoratori è sempre più a rischio.
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