Comi, la beffa è nelle carte: azzurra incastrata dagli amici
Sono ore in cui, leggendo e rileggendo le 120 pagine dell’ordinanza di custodia eseguita all’alba di giovedì, la Comi deve prendere atto di una circostanza dolorosa: ad accusarla, a scaricarle addosso responsabilità di ogni tipo facendola finire agli arresti, sono stati due suoi amici. Un uomo e una donna che ha cercato in ogni modo di aiutare, e che davanti all’avanzare dell’inchiesta hanno deciso di cavarsi d’impiccio fregandola.
Il primo si chiama Giovanni Caianiello, ed è stato a lungo il coordinatore di Forza Italia in provincia di Varese. Anche quando il partito lo ha esonerato dopo una condanna per concussione, ha continuato a fare il bello e il cattivo tempo. Il 5 maggio, nella retata «Mensa dei poveri», è finito in cella. Per un po’ ha fatto il duro, poi ha capito che per uscire doveva dare ai pm qualche testa. Gli ha dato quella della Comi e la settimana scorsa è tornato a casa.
Il 2 settembre, interrogato in carcere, Caianiello accusa l’europarlamentare di essersi fatta dare un contratto di consulenza dalla azienda pubblica Afol: «La Comi disse a Zingale (dirigente Afol, ndr) che avrebbe potuto collaborare con Afol in relazione a progetti europei pur precisando che non lo avrebbe fatto lei direttamente, non potendolo fare per motivi di incompatibilità ma che avrebbe potuto farlo per il tramite di una persona». Ottenuto l’incarico, la Comi era comunque insoddisfatta: «La Comi – dice Caianiello – si lamentava che l’emolumento riconosciuto era troppo esiguo e tale da non riuscire neanche a coprire i costi della consulenza». Nei verbali, trasuda il rancore di Caianiello nei confronti della compagna di partito, «restia a retrocedere somme di denaro in nostro favore anche a fronte del fatto che conosceva le mie precarie condizioni economiche». Nello stesso interrogatorio l’ex ras azzurro va giù pesante anche sulle spese elettorali della Comi: «A seguito della mancata candidatura alle elezioni politiche nazionale ha iniziato a spaventarsi fortemente per la sua rielezione al Parlamento europeo, per cui ha iniziato ad andare spasmodicamente alla ricerca di finanziamenti». Ed è lui a rivelare di una cena in casa di Mariastella Gelmini in cui insieme alla Comi c’era l’imprenditore Marco Bonometti: ora accusato di avere finanziato in nero la sua campagna elettorale.
Ancora più brusca la rottura per via giudiziaria della amicizia tra la Comi e Maria Teresa Bergamaschi, giovane e brillante avvocato ligure, già presidente della Camera penale di Savona. Le due sono amiche da dodici anni, si frequentano, la Bergamaschi le chiede spesso favori. E quando a maggio scorso esplode l’inchiesta si dà da fare insieme a lei per nascondere le tracce dei favori ricevuti e di quelli restituiti. Ma dopo un po’ il terrore di finire nei guai è tale che la Bergamaschi si presenta spontaneamente agli inquirenti, consegna loro il proprio cellulare con tutti i dialoghi con la Comi. Viene interrogata, prima si barcamena, poi davanti alle contestazioni crolla e accusa l’amica Comi di averla costretta a versare diecimila euro in cambio di una consulenza: «Io c’ero rimasta molto male perché era la prima volta che mi trovavo ad affrontare una richiesta illecita». Ma poi si rassegna: salvo ora accusare l’amica.
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