“Noi, nonni e nipotini ‘vittime’ del Morandi, abbandonati dallo Stato”
“Quel giorno sono morte 43 persone, tra cui madri, padri e bambini. Vogliamo avere giustizia, giustizia, giustizia. I nostri cari non ce li ridarà nessuno. Almeno la giustizia. Quella ce la devono”. Giuseppe Matti Altadonna è il papà di Luigi, morto il 14 agosto 2018 nella strage di Genova. Temporale. Pioggia fitta. Una delle tante bombe d’acqua che, da qualche anno, infieriscono senza pietà sul capoluogo ligure. Poi, alle 11.36, la tragedia: 250 metri del ponte Morandi precipitano nel vuoto, portando con sé le vite di bimbi, ragazzi, madri e padri di famiglia. Per sempre. Da quel maledetto giorno sono passati quasi 14 mesi e la struttura commissariale per la ricostruzione del ponte, guidata dal sindaco genovese Marco Bucci, sta correndo contro il tempo per regalare alla città, e a tutta l’Italia, un nuovo ponte.
“Sarà pronto a metà 2020”, promette Bucci. “Una costruzione semplice e intelligente”, secondo Renzo Piano, l’architetto che ha progettato il nuovo viadotto. Sotto al quale sarà realizzato un parco urbano – il Parco del Polcevera – “autosufficiente dal punto di vista energetico e alimentato soltanto da energie pulite”, spiega il collega Stefano Boeri.
Il papà di Luigi: “Ci sentiamo soli, condannati all’ergastolo”
Tutto bellissimo. Tranne, ovviamente, per i familiari delle vittime. Tra cui il signor Matti Altadonna, che in occasione di un evento pubblico promosso a Genova dall’Unione Nazionale Vittime (Unavi) ha condiviso con i presenti, tra cui alcuni politici locali, il suo grido di dolore: “Ci sentiamo soli. Il giorno dei funerali delle 43 vittime del Morandi, lo Stato ci aveva promesso che ci sarebbe stato vicino, che non ci avrebbe abbandonato. E invece ci ha condannati all’ergastolo”. Ex agente penitenziario, dopo la pensione Matti Altadonna era tornato nella sua terra d’origine, la Calabria, per godersi un po’ di tranquilllità. Spezzata il 14 agosto, quando ha perso per sempre il figlio Luigi, 34 anni, autista di Mondo Convenienza morto a bordo del suo furgone mentre stava percorrendo i 250 metri di ponte franati all’improvviso. E con essi anche la vita della famiglia Matti Altadonna, dato che Luigi ha lasciato la moglie Lara e quattro figli (Francesca, Tomas, Giuseppe e Cristian) tra i 13 e i 4 anni. La cui esistenza è stata sconvolta. Al punto tale da non voler più uscire di casa.
Quattro bimbi senza papà e sotto choc
Chiusi tra quattro mura. Nel loro lutto. “I due bimbi più grandi hanno perso un anno scolastico. E quest’anno hanno già saltato molti giorni di scuola. Di notte non dormono e la mattina non riescono ad alzarsi. Tutte le volte che c’è un temporale, ripensano al 14 agosto”. La pioggia, i tuoni, il ponte che viene giù. E il papà inghiottito in una strage – per ora – senza colpevoli. “Ma ho fiducia nella Procura di Genova e in particolare del procuratore Francesco Cozzi”, spiega Matti Altadonna. “Sta lavorando in silenzio. L’ho incontrato in varie cerimonie e una volta mi ha detto: ‘Dateci ancora un po’ di tempo. In questa inchiesta non possiamo sbagliare'”. Chi ha sbagliato, invece, è lo Stato. Che non ha assicurato, salvo le prime settimane dopo la strage, un’efficace – e gratuita – assistenza psicologica a chi ha perso i propri cari il 14 agosto 2018. “Noi del comitato parenti vittime del ponte Morandi vogliamo che ci venga riconosciuto un sostegno post-trauma. Nelle prime settimane dopo la tragedia – prosegue Matti Altadonna – siamo stati seguiti da un team di psicologi. Poi – salvo qualche persona che si è offerta di darci una mano a titolo volontario – non abbiamo più sentito nessuno. Ma è lo Stato a doverci dare una mano: è un nostro diritto”.
In ballo, quindi, ci sono le spese per l’assistenza psicologica. Costi ingenti che le famiglie sarebbero costrette a sostenere di tasca propria. Senza contare le difficoltà per una famiglia numerosa, come quella Matti Altadonna, di dover portare i bimbi negli ambulatori. “Pretendevano che lo facesse mia nuora, la vedova di Luigi, ma dovrebbero essere loro a venire a casa nostra. Difatti, a un certo punto, i miei nipotini non hanno più voluto andare negli ambulatori. Con il risultato di isolarsi ancora di più nel loro dolore”. Ponte Morandi, il video del crollo mai diffusoPubblica sul tuo sito
L’esperto: “Come si può guarire da un evento traumatico”
Un dolore immenso, una sofferenza atroce che il direttore di Asp (Associazione italiana psicologi) Michele Maisetti descrive così: “In casi come questi è molto frequente lo sviluppo di un DPTS, il Disturbo Post-Traumatico da Stress. A seguito di eventi traumatici come morti o lesioni ad altre persone o a se stessi, si sviluppa a causa del trauma una serie di conseguenze tra cui ricordi intrusivi, sogni spiacevoli e la paura, più o meno consapevole, che l’evento possa ripresentarsi. È inoltre molto frequente – spiega il Dottor Maisetti – provare un forte disagio nel momento in cui si viene a contatto con elementi che possono ricordare aspetti dell’evento, come, ad esempio, il luogo in cui tale evento è avvenuto. Questo disagio, nel peggiore dei casi, può far rivivere nuovamente il trauma originario”.
“Quando poi tale trauma – continua il Professore – riguarda la perdita di una figura di riferimento come un genitore, le emozioni negative provate aumentano esponenzialmente di intensità, soprattutto nel caso di bambini, i quali hanno ovviamente strumenti cognitivi non ancora evoluti per fronteggiare questa situazione”. Che cosa succede in casi come questi, soprattutto quando c’è di mezzo un bimbo in età scolare o addirittura pre-scolare? “Diciamo che nei casi peggiori – precisa Maisetti – c’è una elevata probabilità di sviluppare una psicopatologia, la più frequente delle quali è sicuramente la strutturazione di tratti ansioso-depressivi. I comportamenti che frequentemente si possono osservare anche in un bimbo sono scoppi di collera, difficoltà a concentrarsi, disturbi dell’adattamento e più in generale, appunto, sintomi depressivi che possono aumentare nel corso del tempo condizionando anche i comportamenti sociali. È fondamentale – l’analisi del Dottor Maisetti – che il bimbo, oltre al sostegno affettivo della famiglia, sia seguito da un professionista”.
È possibile uscire da una situazione simile? “Certo che è possibile, d’altronde – spiega ancora Maisetti – le risorse dell’essere umano sono tante, ma ciò che consiglio, oltre a ricoprire i piccoli d’amore, è di rivolgersi a dei professionisti, psicoterapeuti esperti nella cura del trauma attraverso cui si può intervenire in molti casi anche senza dover far uso di farmaci. È importante offrire un supporto di questo tipo il più presto possibile – avverte – in modo che i problemi non raggiungano un livello di cronicizzazione troppo elevato. Due esempi di tecniche terapeutiche molto efficaci che molti psicoterapeuti utilizzano in modo integrato alla psicoterapia tradizionale, sono: il Bio-Neuro-Feedback – un metodo ideale per aumentare le risorse cognitive – e il EMDR (Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), una tecnica sviluppata specificamente per la cura di psicopatologie e problemi legati a eventi traumatici di vario tipo”. Come può essere la perdita del papà.
Le istituzioni locali: “Abbiamo fatto tutto il possibile”
La vicenda raccontata dal signor Matti Altadonna durante il convegno dell’Unavi e approfondita da Il Giornale non ha lasciato indifferente la politica locale, che si è mossa immediatamente per approfondire la questione. Alberto Campanella, consigliere comunale genovese di Fratelli d’Italia, ha chiesto subito chiarimenti alla maggioranza di centrodestra di cui fa parte. “Il dramma familiare di questo signore mi ha colpito profonamente. Pur non essendomi mai occupato nello specifico di ponte Morandi – racconta Campanella – non avendo la relativa delega, mi sono sentito in dovere di chiedere scusa a nome del Comune di Genova, promettendo di fare chiarezza sull’accaduto. Alla fine – chiarisce – mi è stato detto che è stata la madre, persona molto complessa, a rifiutare ogni tipo di assistenza. In ogni modo – puntualizza – mi è sembrato giusto e doveroso avere un atteggiamento protettivo nei confronti della famiglia vittima del Morandi e sono contento di averlo fatto”.
Versione confermata dall’assessore al Patrimonio e alle Opere pubbliche del Comune di Genova, Pietro Piciocchi: “Quanto riportato dal signor Matti Altadonna non corrisponde al vero. Tutti possono testimoniare che la sig.ra Matti Altadonna, rimasta vedova, rifiuta ogni forma di aiuto di Asl e Comune, che si sono fatti carico di supportare psicologicamente e non solo tutti i parenti delle vittime che ne hanno fatto richiesta. Alcuni – aggiunge Piciocchi – hanno preferito rivolgersi privatamente a professionisti di fiducia. Ma non è in alcun modo accettabile che si dica in pubblico che noi non abbiamo fornito assistenza”, conclude. Genova, lo Stato ai funeraliPubblica sul tuo sito
“Abbandonati dal governo e ignorati dal Papa”
Dal canto suo, il signor Matti Altadonna riconosce di avere avuto “molta vicinanza da parte dei privati e delle istituzioni locali”, in primis dal “sindaco Bucci e dal presidente della Regione, Giovanni Toti”. Diversamente dal governo e in particolare dal premier Giuseppe Conte, che si è fatto sentire solo nei giorni successivi al 14 agosto. Poi più niente o quasi. “Abbiamo rivisto il presidente del Consiglio nel primo anniversario della strage. Ci ha promesso ‘Faremo, faremo, faremo’, ma noi familiari dei 43 angeli volati in cielo non abbiamo visto nulla. Ci siamo organizzati in un comitato per far valere la nostra voce. A settembre – spiega ancora Matti Altadonna – abbiamo inviato a Palazzo Chigi un dossier con alcune richieste precise. Peccato che da allora non si sia più fatto sentire nessuno”.
Neppure il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (“Il giorno dei funerali di Stato ci ha detto ‘Non vi lasceremo soli’, e invece…”), neanche Papa Francesco. “Almeno il Capo dello Stato ci ha abbracciati, nel farlo era sinceramente commosso. Mentre dal Santo Padre non abbiamo avuto una parola di conforto che sia una. Da cattolico, è una cosa che mi amareggia profondamente”. Quindi l’appello finale. “È inutile deporre i fiori. Mio figlio Michele, di 16 anni, fratello di Luigi, ha avuto uno scompenso ormonale. In casi come questi dev’essere previsto qualcosa. E invece no. Abbiamo persino dovuto subìre lo schiaffo della buonuscita di Autostrade all’ex ad Giovanni Castellucci. Vogliamo giustizia, giustizia, giustizia. I nostri cari non ce li ridarà nessuno. Almeno la giustizia. Quella ce la devono”.
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