C’era una volta l’Ilva. C’era una volta la politica. Adesso abbiamo Conte
Se ne vanno anche loro, i “salvatori” dell’ex Ilva. ArcelorMittal non ci sta. I patti erano altri e stavolta in fumo se ne vanno i diritti di quattordicimila lavoratori, diecimila del colosso siderurgico e quattromila dell’indotto. Crolla la già residua credibilità dell’Italia. La catastrofica condotta del governo, con l’incredibile botta al cosiddetto scudo penale, ci costerà quasi un punto e mezzo di Pil. Ci vorrà una legge speciale per destinare il reddito di cittadinanza a Taranto e a tutte le città che ospitano-ospitavano il gigante dell’acciaio….
Se la questione ex Ilva finisce così, Conte deve sparire subito dall’Italia. E con lui i suoi ministri pasticcioni che mettono sul lastrico le realtà industriali della Nazione. Come quella Bellanova che la notte approva emendamenti devastanti e il giorno dopo li rinnega. O quei Cinquestelle che odiano qualunque forma di crescita e ce la fanno subire solo perché Zingaretti e il Pd avevano terrore delle elezioni. I parlamentari non volevano perdere il loro, di lavoro, lo perderanno gli operai.
Hanno approvato lo spazzaimprese per l’ex Ilva…
Avevamo capito che dopo i guai prodotti dalla vecchia gestione dell’industria siderurgica, soprattutto a Taranto si sarebbe riusciti a trovare un compromesso tra lavoro e ambiente: diritti da mettere assolutamente assieme. Se finisce così come pare, non ci sarà il lavoro e tantissimi abitanti della città pugliese creperanno di fame. Senza lavoro, se ne va anche la salute.
Ma la maggioranza di Conte è composta da pazzi. Quando hanno tolto l’immunità penale sapevano in quale guaio cacciavano l’Italia per viltà e propaganda politica. Facevano pagare al nuovo gruppo le responsabilità di quello vecchio. Una follia che paghiamo oggi.
Hanno approvato lo spazzaimprese, hanno abolito il lavoro, stanno ammazzando il sud.
Che altro dobbiamo aspettarci da un governo inconcludente? Chi ha fatto di tutto per evitare le elezioni, deve farci uscire da questo guaio, che poi è in diretta conseguenza del declino dell’Italia. Se ne vanno i grandi brand, ha osservato Paolo Agnelli, presidente di Confimi Industria: la moda, il food, il tessile, l’arredo. E adesso l’acciaio. È finita la politica industriale. È finita la politica.
Finisce la politica, arriva la decrescita
Tutto questo “genera” nel linguaggio della decrescita felice sognata da Beppe Grillo, centomila imprese che chiudono ogni anno, quasi un milione in dieci anni, centinaia ogni giorno. E loro, a palazzo Chigi, continuano a trastullarsi. “Il governo si muova”, ulula la Bellanova. Spiegatele che il governo è anche lei, ahinoi.
In Transatlantico è sconsolata dalle notizie che arrivano Ylenja Lucaselli, deputata di Fdi di Taranto. “Alle tre ragioni principali per le quali gli investitori latitano, che sono instabilita’ politica, tasse e lentezza della giustizia civile, occorre aggiungerne una quarta: il Movimento 5 Stelle al governo”, dice amara.
Si dividono anche i sindacati, si spaccano proprio sulle caratteristiche della mobilitazione. Un altro segno dei tempi, anche qui non c’è politica sindacale. Non c’è politica.
Eppure sarebbe il tempo della decisione, la mano pubblica che assume le proprie responsabilità, salva i posti di lavoro, vara assetti industriali capaci di garantire salute e rispetto dell’ambiente. Ma – manco a dirlo – manca un governo. Manca la politica.
La pistola fumante ad ArcelorMittal gliel’ha messa in mano Giuseppe Conte.