Capo stalla? No, grazie. I lavori che gli italiani non vogliono fare
AAA capo stalla cercasi. E nonostante il lauto compenso mensile, nessuno risponde all’annuncio e accetta quel posto di lavoro.
Insomma, un nuovo caso – dei tanti già esistenti in tutta lo Stivale – in cui il lavoro c’è, ma viene meno la voglia di farlo. Per scelta, diciamo, di “comodo”. Come nel caso dei panettieri e dei fornai, costretti – per natura della professione stessa – a lavorare di notte. È qui, è di fronte a questa prospettive che molti, anzi moltissimi, giovani italiani si tirano indietro, e dicono di no.
Negli scorsi mesi vi avevamo parlato della vicenda di un panettiere veneto, che aveva aperto una posizione da 1.400 euro mensili, a tempo indeterminato, ricevendo una caterva di rifiuti per causa, appunto, del lavoro notturno (peraltro retribuito con una maggiorazione del 50%).
Lo stesso vale nel settore dell’allevamento, dove nonostante gli imprenditori agricoli-datori di lavoro offrano un’occupazione da capo stalla a tremila euro netti al mese, nessuno accetta il lavoro. Il motivo? “Gli italiani, ormai, non sono più disposti a lavorare tutti i giorni e, all’evenienza, anche di notte…”.
Succede a Settimo Milanese, estrema periferia Ovest di Milano, dove un’azienda d’allevamento sta cercando – invano – di reperire una figura da capo stalla, capace di gestire tutte le attività dei bovini facenti parte dell’allevamento.
Questo, diretto da Alanews, lo sfogo dei diretti interessati: “Offriamo 3000 euro netti al mese e nonostante questo gli italiani non si prestano: infatti, al momento, siamo senza candidati […] I pochi contatti che abbiamo avuto si sono interrotti appena abbiamo chiesto loro una disponibilità sette giorni su sette e una reperibilità, a volte, anche di notte. Ecco, nessuno è davvero disposto. Ormai siamo abituati ad avere il sabato e la domenica liberi, ma con gli animali non esistono festivi, si lavora tutti i giorni”.
Insomma, fare il capo stalla non pungola la fantasia (e le tasche) degli italiani, anche di quei disoccupati in cerca di un lavoro o di chi, già lavorando nel settore, potrebbe cambiare azienda e posizione. Ed è un gran peccato visto che – come ben spiegato da Paolo Faverzani, presidente di Anga Cremona (Giovani di Confagricoltura) a TgCom24 – “può essere assimilata a quella di un direttore d’azienda: in certi contesti si trova a gestire migliaia di mucche e dal suo lavoro dipendono fatturati da milioni di euro”.
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