Nuova tegola per Conte “Fece una legge ad hoc per favorire l’ex cliente”
Milano Non basta il voto in Umbria. Anche un affaire finanziario dai contorni poco chiari si sta abbattendo come una tegola pesante e spigolosa sulla testa del premier Giuseppe Conte.
Il Financial Times pubblica uno scoop: il Vaticano sta indagando, attraverso la sua magistratura, su un fondo di investimento Fiber 4.0 che si è servito proprio dell’avvocato Giuseppe Conte (prima che diventasse presidente del Consiglio) per perfezionare contratti e investimenti. All’epoca l’avvocato Conte ha suggerito ai gestori del fondo di richiedere la golden power, vale a dire quell’imprimatur di necessità e di rilevanza nazionale per la difesa per una attività che opera in un settore strategico per la sicurezza nazionale visto che uno degli azionisti rivali era libanese. Caso volle che proprio il premier Conte si trova, appena insediato, a concedere la golden power (prerogativa appunto del governo) per difendere le richieste della Fiber 4.0. Insomma un classico caso, almeno stando alle accuse emerse dallo scoop del giornale inglese, di conflitto di interesse. Fonti di Palazzo Chigi però gettano acqua sul fuoco. «Il presidente Conte è tranquillissimo».
Il Financial Times però dice il Vaticano sta già indagando sull’uso di fondi transitati dalla Segreteria di Stato e sul destino del fondo di investimento riporta la testimonianza di uno degli azionisti, Gianluca Ferrari. «Si è tentato di contrastare il risultato del consiglio di amministrazione attraverso una via legale che tecnicamente richiedeva l’ausilio di un legale», dice. E quel legale era proprio Giuseppe Conte. Poco prima che il Movimento Cinquestelle lo indicasse come possibile inquilino di Palazzo Chigi.
Quando viene coinvolto da Fiber 4.0, Conte è soltanto un oscuro accademico del diritto all’Università di Firenze. È il maggio del 2018. Il Fondo sta lottando per il controllo di Retelit una compagnia di telecomunicazioni. Il principale azionista di questo fondo è Athena Global Opportunities Fund, finanziato interamente per 200 milioni di dollari dal Segretariato Vaticano e gestito e di proprietà di Raffaele Mincione, un finanziere italiano.
Questa operazione, però, è entrata nel mirino della magistratura vaticana visto che i fondi sarebbero transitati direttamente dalle casse della Segreteria.
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