Le mosse spericolate dell'”avvocato del popolo”
Era appena cominciata la girandola di proiezioni disastrose per i giallorossi, nella domenica sera umbra da incubo, quando il Financial Times, quotidiano economico della City londinese, metteva un carico da novanta sul premier Giuseppe Conte.
Nella notte più scura, il Ft riporta la notizia di un presunto collegamento tra il presidente del Consiglio e il fondo di investimento Athena Global Opportunities, al centro di un’inchiesta in Vaticano per corruzione e transazioni finanziarie sospette. Athena, gestito dal finanziere Raffaele Mincione e secondo gli inquirenti finanziato per 200 milioni di dollari dal Segretariato di Stato della Santa Sede, era il principale investitore della società di Telecomunicazioni Fiber 4.0. E cioè la società di telecomunicazioni che a maggio 2018 aveva ingaggiato come consulente legale l’allora professore di Diritto privato Conte, che solo qualche settimana dopo sarebbe stato indicato come premier da Lega e M5s. Ma a febbraio dello stesso anno, l’oscuro docente dell’Università di Firenze gravitava già nel mondo grillino, tanto da essere stato scelto da Luigi Di Maio come ministro della Pubblica amministrazione in un ipotetico esecutivo monocolore pentastellato.
Secondo i documenti esaminati dal Financial Times, il parere legale per la società di Mincione risalirebbe al 14 maggio del 2018. Facendo una ricerca sul totopremier e sul totoministri di quel periodo si può facilmente scoprire che il nome di Conte era cominciato a circolare proprio in quei giorni, a cavallo della metà del mese di maggio. Con l’indicazione formale per la premiership che invece è arrivata il 21 maggio. A partire dalla primavera dell’anno scorso, la società finanziata dal fondo Athena è stata impegnata in una battaglia per il controllo della Retelit, società italiana delle telecomunicazioni. Ma il voto degli azionisti aveva preferito a Mincione alcuni investitori stranieri. Il parere di Conte verte proprio su questo: l’attuale premier, infatti, nel documento inviato a Fiber consiglia al gruppo di avvalersi della golden power del governo, ovvero il potere speciale esercitabile dall’esecutivo che consente di blindare una società di «rilevanza strategica per l’interesse nazionale». E la golden power su Retelit, che possiede cavi in fibra ottica per oltre 12mila e 500 chilometri sul territorio nazionale, è stata effettivamente deliberata nel Consiglio dei Ministri del 7 giugno 2018. Quando Conte si trovava in Canada per il G7. Circostanza sottolineata anche nell’ultima nota diffusa da Palazzo Chigi dopo l’articolo del Financial Times: «Per evitare ogni possibile conflitto di interesse – ha spiegato la presidenza del Consiglio – il presidente Conte si è astenuto anche formalmente da ogni decisione circa l’esercizio della golden power. In particolare non ha preso parte al Consiglio dei ministri del 7 giugno 2018, astenendosi formalmente e sostanzialmente da qualunque valutazione».
Nella serata di ieri è arrivata la replica di Conte in persona, che ha detto di aver affrontato la questione davanti all’Agcom: «Ho fornito all’autorità tutte le informazioni richieste – ha specificato il premier – unitamente ai necessari riscontri documentali, dimostrando in particolar modo la mia astensione (formale e sostanziale) a qualsiasi decisione relativa a Retelit, e ribadendo di non aver mai conosciuto o avuto contatti con i vertici societari di Fiber 4.0 (e specificatamente con il sig. Mincione)». Conte ha poi aggiunto che l’authority all’inizio del 2019 gli ha comunicato, con una lettera del 24 gennaio, la decisione «di non avviare alcun procedimento ai sensi della legge 20 luglio 2004 n. 215, non ritenendo sussistenti i presupposti per l’applicazione della legge». Il premier ha concluso: «Confido che questi chiarimenti consentano di dissipare qualsiasi dubbio sulla mia persona quanto a presunti conflitti di interesse o a legami con il fondo di investimento indagato in Vaticano».
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