Tutte le tasse invisibili che uccidono il Paese
«Le tasse invisibili» è un pamphlet che ha la pretesa di affermare che forse è meglio buttare nel cestino i manuali di scienze delle finanze. Non perché essi siano inutili (…) ma perché le tasse e le imposte sono un virus che è mutato negli anni.
La loro forma si è adattata al portatore sano, e cioè la Bestia statale, e il suo contagio avviene in forme completamente diverse da quelle un tempo conosciute e studiate. L’imposizione fiscale si è adeguata ai tempi e alle sue mode: oggi la tassa è buona, politicamente corretta, biologica e verde. Come alcuni superbatteri, le imposte sono così diventate immuni agli antibiotici conosciuti. (…)
Nel Novecento, e nella nostra Costituzione che ne è figlia, il prelievo fiscale non poteva che essere una prestazione che passava dalle tasche del cittadino alle casse dello Stato. Oggi è più complicato. Lo Stato continua la sua imperterrita corsa a farsi sfamare. Ma ha intrapreso un’ulteriore attività: la regolamentazione ossessiva, dal forte contenuto patrimoniale che spesso determina prelievi autoritari e autorizzati, che se non assumono la forma tecnica del tributo, ne hanno tutte le caratteristiche e i difetti.
Poco importa se il mio reddito di cento euro viene colpito da un’imposta tributaria di 50 o se il medesimo reddito viene percosso contemporaneamente da una regola che mi obbliga a rinunciare a 20 e da un’imposta che fa il resto con un peso di trenta. Il reddito disponibile alla fine viene ridotto sempre a 50.
L’imposta e la «regola imposta» hanno in comune il fatto di essere il grimaldello con il quale un piccolo gruppo di persone si organizza per governarci. In altri tempi e con Francesco Ferrara lo avremmo definita la formula magica con la quale si organizza la tirannia. Ogni imposta d’altronde, pensateci bene, è arbitraria: non solo riguardo ciò che colpisce (il reddito, il consumo o il patrimonio) e nella sua entità (aliquote, accise e prelievi vari), ma soprattutto nell’effetto che genera in chi la subisce. (…) La politica, organizzata in democrazia, è riuscita negli ultimi secoli a vincere una battaglia straordinaria. Ciò che conta è il metodo seguito (democratico, appunto) per approvare l’obbligo, il prelievo, la norma e non già l’essenza di ciò che essa prevede. Siamo ciechi: riteniamo giusto ciò che è democratico, tendiamo a ritenere legittimo un prelievo solo perché la procedura è stata rispettata e non già per la sostanza di quanto deciso.
C’è stata inoltre un’ulteriore mutazione. Per lungo tempo abbiamo ritenuto gli esattori i nostri nemici, giudici arbitrari del nostro tempo libero da obblighi (…). Oggi le cose sono diverse: noi stessi siamo diventati esattori. L’imposta è diventata la linfa, mica tanto vitale, della nostra società. Siamo diventati, paradossalmente, vittime e carnefici al tempo stesso: amiamo l’imposta e la costrizione, supponendo che essa riguarderà sempre e comunque gli altri. Genuinamente ci siamo convinti che l’evasione è sempre quella del vicino, che l’ingiustizia è sempre quella applicata alla nostra disponibilità economica. (…)
L’imposizione si è inoltre liberata dal suo contenuto monetario, dalle aliquote, dalle percentuali; è diventata semplicemente una porzione del nostro tempo di cui non disponiamo. Se vogliamo, in ciò siamo tornati indietro: l’economia più finanziaria di tutti i tempi, in cui la moneta circola non più grazie alla fisicità dell’atomo, ma solo in virtù dei Bit, ebbene in questa economia l’imposta si è dematerializzata, come la moneta appunto, ed è diventata più genericamente una costrizione a fare, e sempre di più rappresenta una limitazione alla nostra libertà. (…)
L’esattore, anche, ha dovuto cambiare forma. E si è talmente mimetizzato che non lo consideriamo più tale. Godono di vita propria. Il vigile urbano non è un nostro stipendiato come non lo è il magistrato. Come la legge tributaria non è al servizio del contribuente, così i nostri funzionari non sono più al nostro servizio. Viviamo in un complesso intreccio di soggezione verso uno stato che è nato al nostro servizio, e per il quale siamo finiti al suo servizio. In questo impasto, essendo tutti potenzialmente esattori, riconosciamo un ruolo divino a coloro che lo sono per davvero. (…)
Ci siamo fatti convincere che negli ultimi decenni siano aumentate le disuguaglianze, e per questo abbiamo giustificato l’intervento sempre più massiccio dei mandarini pubblici per poterle appiattire.
E mentre affrontiamo l’oppio delle disuguaglianze cedendo sovranità alle autorità pubbliche, non ci rendiamo conto, imbambolati dal miraggio della giustizia sociale, la grande ingiustizia politica che si sta consumando con il trasferimento coatto di risorse dai singoli allo Stato. I numeri pubblici parlano chiaro. E prendiamo solo quelli relativi all’ultimo mezzo secolo.
Il livello delle tasse nei Paesi sviluppati nel 1965 era pari al 24,9 per cento. Nel 2016 la frazione della ricchezza dei privati che è finita in mano pubblica è salita al 34 per cento. Il che vuole dire che le tasse sono cresciute del 40 per cento: ogni anno il prelievo pubblico è aumentato dell’8 per cento. (…)
L’Italia in questo processo di progressivo aumento fiscale (e ora stiamo parlando solo di prelievi monetari, che come detto sono solo una parte del nostro ragionamento) ha praticamente il record mondiali degli orrori. (…) È corsa a una velocità doppia: gli altri aumentavano l’imposizione del 8 per cento, noi di quasi il 18.
Nei medesimi anni è esploso il nostro debito pubblico e la nostra crescita è tra i fanalini di coda del mondo occidentale.
Qualcuno potrebbe mettere i puntini insieme e trarre una conclusione: in mezzo secolo più tasse, più debito, meno crescita.
Prima che i bambini si rendano conto che il re è nudo, tocca convincerli che si sia cambiato di abito. Ecco che le tasse non sono più bellissime, ciò che splende sono quei prelievi che hanno un fine etico. Ci stiamo inventando le tasse buone, le tasse di valore, i prelievi per l’ambiente, le imposte nascoste, le regole a favore di alcuni: un complicato reticolo di iniziative che hanno come unico fine quello di continuare ad alimentare la bestia statale che ha sempre più fame, poiché la sua dimensione è cresciuta e più cresce ed è potente e più ci affidiamo a lei per risolvere i nostri problemi. Una follia. La bestia non riusciremo più ad affamarla, come negli anni ’80 speravamo, essa morirà d’infarto per le sue dimensioni, e perché la linfa con la quale campa sta diventando sempre più rara.
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