Indennità fuori legge Per l’ex pm Ingroia chiesti 4 anni di carcere
Si potrebbe dire, da liquidatore a liquidato: da magistrato, da politico, da manager. Antonio Ingroia, che oggi fa l’avvocato nel suo studio legale e che tiene rapporti con l’America Latina, dopo una tanto breve quanto fallimentare, esperienza in politica, si sarebbe appropriato di indennità non dovute per 117mila euro da liquidatore di Sicilia e-servizi, la società che gestisce i servizi informatici della Regione siciliana.
Per questo la procura di Palermo ha chiesto una condanna a quattro anni.
L’inchiesta scoperchia il lato nascosto dell’incarico che Ingroia ricevette nel luglio 2013: un regalino che l’allora governatore Rosario Crocetta gli fece per addolcirgli le amarezze della politica. L’ideatore del pool che indagò sulla presunta trattativa Stato-mafia insieme a Nino Di Matteo, venne nominato liquidatore della società, carica che ricoprì per soli tre mesi e sostituita poi con quella di amministratore unico. Secondo i pm, bypassando l’assemblea dei soci, Ingroia si auto-liquidò circa 117mila euro a titolo di «indennità di risultato per la precedente attività di liquidatore». Soldi che si sarebbero aggiunti al suo normale compenso che l’assemblea gli riconobbe in 50mila euro annui. La legge però stabilisce che la liquidazione non possa essere superiore al doppio dello stipendio annuo lordo del manager. Stipendio che per Ingroia, avendo lavorato solo per tre mesi, era di molto inferiore.
«Mi aspettavo un grazie e invece mi sono ritrovato sotto processo replica pure stizzito – La richiesta della procura non mi sorprende dato l’accanimento e l’evidente ostilità nei miei confronti. Quello che è importante è che io so di aver operato nel giusto e di avere la coscienza a posto. Sono fiducioso che alla fine la verità verrà a galla».
Sotto inchiesta anche i rimborsi per le spese di viaggio. Dovuti solo per i trasporti, dice una norma regionale, vennero estesi a vitto e alloggio da Ingroia con una delibera che lui stesso firmò. In 20 mesi di viaggi tra Palermo e Roma (dove vive), solo di alberghi e ristoranti spese 37mila euro. Indebitamente, dicono i magistrati che l’accusano di peculato.
Dal 2013, quando decise di candidarsi a premier con Rivoluzione Civile, arruolando tutto lo stato maggiore giustizialista (Sandra Amurri del Fatto Quotidiano, Sandro Ruotolo e Massimo Ciancimino) per «abbattere politicamente» colui che riteneva essere il male assoluto, non gliene è andata più bene una. Tutto l’astio che l’ex procuratore aggiunto di Palermo ha covato contro Silvio Berlusconi gli è tornato indietro. Soltanto nel 2017 diceva: «Andrebbe arrestato immediatamente». Adesso però è lui che rischia la galera.
Dopo l’aspettativa dalla politica il Csm lo spedì a fare il pm semplice ad Aosta, dove resistette solo 2 mesi. Lasciata la magistratura, l’incarico di manager da Crocetta. Non contento di quel 2,2% del 2013, riprovò con la politica alle scorse elezioni con «La Mossa del Cavallo», fondata insieme a Giulietto Chiesa che ottenne un bel 0,3%.
Il finale del triste spettacolo di Ingroia va in scena però solo ad aprile scorso, quando all’aeroporto parigino di Roissy, mentre si stava imbarcando su un volo per l’Italia, la polizia lo fermò in visibile stato di ebbrezza. Da poco ha perso pure la scorta. Una decisione presa dal Viminale guidato da Marco Minniti confermata poi da Matteo Salvini. Una mossa del cavallo sì, ma contro di lui.
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