Rimpatri, decreto è un bluff: tutte le falle del piano Di Maio
Luigi Di Maio si professa ottimista e, nel presentare il suo decreto per i rimpatri, dichiara a più riprese che è proprio sugli accompagnamenti di chi non ha diritto verso le frontiere che si gioca la risolzuone del problema dell’immigrazione.
Il ministro degli esteri espone un piano che ha, come perno centrale, la facilitazione delle procedure di rimpatrio: “Non più due anni, ma appena quattro mesi di attesa adesso”, sottolinea il leader politico del Movimento Cinque Stelle.
Per lui e per il guardasigilli Bonafede, lo snellimento delle procedure e l’abbattimento dei tempi passa soprattutto da una lista, quella cioè che include tredici paesi ritenuti sicuri con i quali l’Italia ha già o può infuturo implementare accordi per i rimpatri.
All’interno di questo elenco risultano al momento tredici paesi. Si tratta, in particolare, di Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Capoverde, Kosovo, Ghana, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina.
Tra questi paesi però, solo tre sono all’interno di un’altra e più importante lista, ossia quella relativa alle prime dieci nazioni di provenienza dei migranti sbarcati in Italia nel 2019. Secondo i dati del Viminale, è la Tunisia a far registrare il maggior numero di persone approdate nel nostro paese: al 30 settembre 2019, su 7.521 migranti entrati irregolarmente in Italia, 2.087 sono tunisini. In termini percentuali, dalla Tunisia arriva il 28% complessivo di coloro che sbarcano lungo le nostre coste. Da qui l’esigenza, ad onor del vero rimarcata dallo stesso Di Maio, di implementare gli accordi con il governo di Tunisi.
Per il resto però, degli altri dodici paesi presenti nella lista delle nazioni sicure in cui poter rimpatriare in poco tempo i migranti, ben pochi fanno arrivare in Italia numeri importanti di immigrati.
Manca ad esempio il Pakistan, paese da cui proviene il 12% dei migranti approdati nel nostro paese nel 2019, pari complessivamente a 922 cittadini. Con Islamabad è difficile anche solo pensare ad accordi sui rimpatri, visto che lì non mancano episodi di persecuzione dei cristiani (il caso Asia Bibi lo dimostra) e la pena di morte solo nel 2018 è stata applicata ben 500 volte. Dietro Tunisia e Pakistan, per il numero di migranti arrivati in Italia si piazza la Costa d’Avorio: gli ivoriani arrivati lungo le nostre coste nel 2019 sono 864, pari all’11% del totale.
Anche con questo paese africano non vi sono accordi e, vista la situazione non sempre stabile, non sembra al momento che il governo sia nella condizione di avviare colloqui con la controparte.
Tra le tredici nazioni nella lista diffusa da Di Maio, ci sono paesi quali Serbia, Ucraina, la stessa Albania, il Kosovo o la Macedonia del Nord che risultano marginali all’attuale fenomeno migratorio che interessa l’Italia. Nella lista si nota la presenza invece di altri due paesi africani, ossia il Ghana ed il Senegal. Entrambi sono considerati sicuri per via del loro sistema istituzionale, che li pongono tra i più stabili dell’Africa sub Sahariana, ma da cui provengono pochi migranti.
Manca invece la Nigeria, da cui negli anni passati provengono migliaia di migranti e con il quale i governi passati provano a stringere accordi soprattutto per tenere sotto controllo il fenomeno della mafia nigeriana, sempre più ramificata nelle varie regioni italiane.
In definitiva, oltre alla Tunisia, solo Algeria e Marocco, tra i paesi ritenuti sicuri, fanno parte della top ten delle nazioni da cui approdano in Italia il maggior numero di migranti. Dall’Algeria, in particolare, arriva l’8% delle persone sbarcate nel nostro paese, dal Marocco invece il 2%.
Sommando le percentuali dei tre paesi nordafricani in questione, al netto del successo totale della strategia illustrata oggi da Di Maio, le espulsioni più semplici entro quattro mesi riguarderebbero soltanto il 38% dei migranti sbarcati in Italia nel 2019. A questi occorre aggiungere quelli nel nostro paese che attendono di sapere l’esito del procedimento della domanda d’asilo, arrivati negli anni precedenti.
La strada per i rimpatri è quindi in salita, lo sa anche Di Maio che non a caso oggi parla solo di “primo step”. Le difficoltà oggettive sulla materia sono ben evidenti, la sfida lanciata oggi dal ministro, seppur ambiziosa, è tutt’altro che semplice e, allo stato attuale delle cose, all’ottimismo dovrebbe in realtà prevalere una certa dose di prudenza.