L’indegno campo migranti finanziato dalla buonista Ue
Samos, Grecia – L’odore del campo te lo porti addosso. Non lo dimentichi. È l’odore del poco, dei tanti problemi, della sporcizia. È il ricordo delle tende bucate, delle baracche improvvisate, delle cinquemila persone ammassate tra i ratti e insidiate dai serpenti.
Quell’odore ti resta impresso come la convinzione che le isole greche siano la prova lampante dell’ipocrisia dell’Unione Europea, che investe milioni di euro, avanza promesse, parla di migrazioni-che-arricchiscono e poi in silenzio osserva crescere indegni accampamenti profughi.
A Samos Jala è arrivata, come tutti gli altri, con un barcone partito dalla Turchia. I pochi chilometri di mare l’hanno consegnata a una tenda da due persone in cui vivono in tre: lei, la madre e la sorellina più piccola. “Mia mamma era incinta, aspettava un altro figlio. Oggi ha perso il bambino”. Jala piange. Quando è sbarcata in Grecia le autorità l’hanno registrata, le hanno fornito un primo documento e poi le hanno consigliato di trovarsi un posto dove accamparsi perché nell’hotspot ufficiale non c’era spazio. Né per lei né per tanti altri.
Il campo profughi si trova sulla collina che sovrasta la cittadina di Vathy. All’interno sorgono la stazione di polizia, gli uffici di Frontex, dell’Unhcr e del governo greco. A gestire l’hotspot è Atene, ma gran parte dei finanziamenti arrivano dall’Unione Europa. “Si tratta di un’ex caserma militare costruita per ospitare 648 persone – spiega Rebecca Holst Fredslund, di Samos Volunteers – ma oggi è così sovraffollato che intorno è sorta una baraccopoli immensa popolata da oltre 5mila persone”. Qui i migranti restano anche due anni: un timbro rosso sui documenti impedisce loro di lasciare l’isola in attesa dell’intervista per la richiesta di asilo. Umar il suo appuntamento lo ha nel 2021, fino a quel giorno è bloccato nella giungla. Migranti, il campo ignobile pagato dall’UePubblica sul tuo sito
Bilal ci mostra la casa di una famiglia afghana: padre, madre, due figli e il nonno. Una parte della baracca l’hanno acquistata dagli africani, l’altra da un connazionale che ha avuto la fortuna di essere trasferito ad Atene. Le costruzioni di fortuna sono ammassate una vicina all’altra. Crescono senza regole. Quando piove il terreno diventa poltiglia, le tende si bagnano e dalla collina scendono rivoli di fango che le trascina via. Di notte cala un buio pesto, rotto solo dalle luci del campo ufficiale. “Non c’è alcuna protezione nella giungla”, grida Ivan. “Ogni giorno uccido serpenti”. Bilal ne ha ammazzato uno “lungo oltre due metri” insieme ad un altro adolescente. Mostra soddisfatto la foto sul cellulare. “Uno di questi, una volta, ha morso un africano che poi è morto”.
Tutti i migranti registrati nel campo, anche quelli che vivono nella “giungla”, hanno diritto a tre pasti al giorno e 90 euro al mese per le spese extra. “Ci mettiamo in fila la mattina per la colazione e appena finisce dobbiamo ricominciare quella per il pranzo”, racconta Zayd. La sera il ritornello è lo stesso. Cibo e acqua scarseggiano: “Ci forniscono solo una bottiglia di acqua a testa al giorno”. Le docce dell’hotspot sono malmesse, per il proprio turno possono passare ore e per le donne non è consigliabile andarci senza essere accompagnate da un uomo. È sconsigliato pure ammalarsi: “Ci sono solo due dottori per 5mila persone – spiega Nicolò Govoni, fondatore di Sill I Rise – quindi per vedere un medico devi essere in punto di morte”. La bomba migranti di ErdoganPubblica sul tuo sito
Diciamolo: Samos non sembra l’Europa. La Commissione Ue si dice “preoccupata” dalle condizioni degli hotspot nell’Egeo, sa che sono sovraffollati e al limite, ma non produce un reale miglioramento. Tante parole e fatti insufficienti. “Tutti gli enti che sono coinvolti nella gestione dell’hotspot hanno fatto troppo poco, troppo tardi e poi si sono messi a guardare”, denuncia Nicolò che con la sua onlus dà una scuola alle centinaia di bimbi che sopravvivono nell’accampamento. Still I Rise non accetta i finanziamenti dell’Ue né tantomeno dall’Unhcr e dell’Onu, considerate “corresponsabili” del disastro greco.
Dal 2015 Atene ha ricevuto 2,21 miliardi di euro di finanziamenti dall’Ue per la gestione dei flussi migratori. Molti più di quanti ne abbia incassati l’Italia, per intenderci. Osservando l’hotspot di Samos, però, ci si chiede che fine abbiano fatto i milioni versati da Bruxelles per garantire una “risposta immediata” alla crisi, fornendo ai migranti “riparo, alloggio, vitto, assistenza sanitaria” e “condizioni di vita sane e sicure”. E soprattutto ci si domanda come possa l’Ue predicare accoglienza, magari attaccando l’Italia e le sue politiche, se poi permette tutto questo. “Questa non è l’Europa che immaginavo”, dice Azibo. “Qui viviamo come animali”.
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