Bufera sulle toghe, il presidente dell’Anm: “Chi è coinvolto si dimetta”
“L’autosospensione non basta. Chi è veramente coinvolto si dimetta”. Così il presidente dell’Anm, Pasquale Grasso, chiede ai magistrati che abbiano “davvero partecipato a un tale sviamento della funzione” di rassegnare le proprie dimissioni.
La richiesta arriva a seguito della bufera che ha coinvolto le toghe, dopo lo scoppio del caso Palamara.
Ieri, l’Assemblea Nazionale Magistrati di Milano aveva approvato un documento, nel quale si richiedevano le dimissioni immediate dei consiglieri del Csm “che sono o dovessero risultare coinvolti” nelle indagini della Procura di Perugia. Alla stessa conclusione sono arrivati anche i magistrati di Napoli, che hanno espresso il proprio “sdegno rispetto a condotte che, ove confermate, gettano il discredito sull’istituzione che ha assicurato per 60 anni la autonomia e l’indipendenza della magistratura, e che contemporaneamente ledono gravemente il ruolo di garanzia del nostro organo di autogoverno, e con esso di tutti i singoli magistrati che nell’istituzione sono rappresentati”.
Oggi, i consiglieri togati del Csm hanno firmato all’unanimità un documento, con il quale rinunciano per un anno, a fine mandato, a candidarsi a ruoli diversi rispetto a quelli ricoperti prima di entrare a Palazzo dei Marescialli. “In un’ottica di responsabilità e con l’intenzione di contribuire a ristabilire un clima di fiducia nella magistratura nel suo organo di governo autonomo- si legge nel documento- manifesto l’intenzione di autovincolarmi alla disciplina sul rientro dei consiglieri vigente prima della riforma attuata dalla legge 205 del 2017”. La norma in vigore prima della riforma prevedeva che il magistrato membro del Csm non potesse essere “nominato ad ufficio direttivo o semidirettivo diverso da quello eventualmente ricoperto prima dell’elezione” almeno per un anno dal giorno in cui “ha cessato di far parte del Consiglio Superiore della Magistratura”. La riforma del 2017, al contrario, permetteva la candidatura ad altro incarico e aveva permesso al pm di Roma Luca Palamara di candidarsi come procuratore aggiunto, subito dopo l’incarico al Csm.
Nel frattempo, continuano le indagini per accertare le responsabilità dei magistrati ritenuti coinvolti della rete di Palamara. Oggi, in procura sono stati sentiti Stefano Fava e Luigi Spina, indagati con l’accusa di favoreggiamento e rivelazione di segreto di ufficio. Il primo ha dichiarato di non aver fornito nessun aiuto a Palamara, mentre il secondo non ha risposto alle domande degli inquirenti.
Lo scandalo che ha coinvolto le toghe sembra essere, a detta del presidente dell’Anm, “uno dei più gravi momenti di crisi della magistratura della storia repubblicana, per il nocumento arrecato all’organo di autogoverno della magistratura”.
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