“Sono entrati a migliaia”. Nella gang dei clandestini pure quattro poliziotti
Quattro «mele marce» nel cesto delle divise pulite. A individuarle sono stati gli stessi poliziotti, loro colleghi: due (un ex ispettore in pensione e un agente ancora in servizio) sono stati arrestati, mentre altri due ex ispettori sono stati indagati a piede libero; i reati contestati vanno dalla corruzione all’associazione per delinquere dedita al favoreggiamento dell’immigrazione.
Della banda facevano parte anche tre algerini (tutti arrestati) e due tunisini (per i quali il gip di Torre Annunziata ha rigettato le misure cautelari). Secondo l’accusa l’organizzazione forniva – in cambio di un preciso tariffario, oscillante dai 50 ai 3mila euro – informazioni e documenti ai clandestini che volevano regolarizzare la loro posizione nel nostro Paese. Inoltre la gang avrebbe costituito anche un «network criminale legato ad ambienti terroristici». A scoprire l’attività illegale del gruppo sono stati Guardia di Finanza e Squadra Mobile di Napoli nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Dda partenopea.
Verifiche e riscontri sono partiti a giugno 2016, dopo una segnalazione relativa ad un algerino residente a Napoli che effettuava tramite alcune agenzie di money transfer diverse movimentazioni di denaro da e verso altri paesi dell’Unione Europea, tra cui Francia e Belgio per importi al di sotto dei mille euro: transazioni ritenute potenzialmente riconducibile a contesti di terrorismo di matrice islamica. Infatti, tra le persone che erano coinvolte in questa rimesse di denaro figurava un algerino residente in Belgio che aveva legami con un militante jaidista sospettato di essere uno degli organizzatori delle azioni terroristiche a Parigi 18 novembre 2015, ucciso poi in un’operazione della polizia francese il 18 novembre.
L’attenzione degli inquirenti si è quindi concentrata sul «filone terroristico» e – se pure non siano emersi riscontri in attività di finanziamento per cellule jaidiste – le indagine hanno consentito di accertare l’esistenza di un’organizzazione «specializzata nell’ottenere rilascio rinnovo di permesso di soggiorno a favore di cittadini extracomunitari anche attraverso l’utilizzo di documenti ottenuti illegalmente».
In pratica la banda controllava l’intera filiera burocratica per la concessione dei provvedimenti amministrativi, dal reperimento dei clienti alla predisposizione di istanza e contatti con l’ufficio immigrazione della Questura fino alla consegna dei documenti. Un iter nel quale gli ex poliziotti infedeli svolgevano un ruolo di «fondamentale intermediazione» affinché le «pratiche» andassero «a buon fine». L’organizzazione era in grado anche di verificare lo stato di avanzamento di ogni singola pratica dato che ne conosceva i codici alfanumerici che venivano assegnati a ciascun fascicolo dai software dell’Ufficio immigrazione. Attraverso questi codici si è arrivato a capire chi erano le persone beneficiarie di questi permessi indebitamente ottenuti e a ricostruire i ruoli svolti dai principali componenti della banda. Tra i «promotori» figura proprio un ex ispettore della Polizia di Stato che era stato in servizio all’Ufficio immigrazioni e che coordinava i «servizi» offerti alla «clientela» servendosi di complici tra i quali un avvocato, un commercialista e vari extracomunitari, tutti «procacciatori» e «collettori per richieste di istanze di soggiorno».
Al momento sono state identificate 136 permessi indebitamente autorizzati, ma è probabile che le documentazioni «alterate» dalla gang siano molte di più. Alcune frasi intercettate tra gli indagati sono esemplificative: «Ti dico che ne abbiamo fatto entrare a migliaia qui».
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