Il Colle striglia Conte: non mettetemi in mezzo E boccia i porti chiusi
Roma All’una e mezzo, a tavola con il capo dello Stato, Giuseppe Conte fa il disinvolto: «Io sono sereno, presidente, il governo non cadrà, riusciremo a sistemare anche questo problema».
Sergio Mattarella invece è un po’ meno tranquillo. Già l’hanno usato, sia Lega che Cinque stelle, come parafulmine, ora da lui vorrebbero pure la ricetta magica per sanare l’ultimo braccio di ferro, dando il via libera ai due decreti elettorali. Impossibile. Il dl Famiglia non ha proprio la copertura finanziaria, servirebbe un miliardo, Di Maio se ne farà una ragione. Quello sulla sicurezza tanto caro a Salvini invece ha ancora troppi profili di incostituzionalità: gli aggiustamenti «sono insufficienti», così com’è il Colle non lo firmerà mai. Risultato, niente correzioni, niente Consiglio dei ministri, tutto rimandato.
«Non potete continuare a scaricare sul Quirinale i vostri conflitti – è il senso del discorso del capo dello Stato -, dovete imparare ad assumervi qualche responsabilità». Il premier prende atto e promette che si darà da fare. Il colloquio è «sereno», il clima «disteso». Mattarella apprezza «lo spirito costruttivo» di Conte e gli elenca nel dettaglio che cosa dovrebbe cambiare nel testo sulla sicurezza. Il primo punto critico sta nel tentativo di Salvini di costruire un sistema di porti chiusi. E questo, spiega, non si può far perché urta contro diversi accordi e convenzioni: dallo statuto per l’assistenza ai rifugiati ai patti internazionali, fino alla legge del mare. Per non parlare del conflitto di competenza tra il Viminale e gli altri ministeri interessati, a partire dai Trasporti.
Il secondo aspetto rilevato dagli uffici giuridici del Colle riguarda il meccanismo di pene che accompagna il decreto. Che sono state ridotte ma non rimosse. Ad esempio, il testo originario prevedeva multe da 10 a 50mila euro per le navi che soccorrono i migranti. Nella nuova versione si parla solo di sanzioni per le imbarcazioni che violano un divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane. O ancora, sono sparite le contravvenzioni per «sbarco di immigranti».
Insomma, è stato fatto un passo avanti, ma non basta. «Sono pronto, ho fatto i compiti a casa», aveva detto Salvini l’altra sera a proposito dei rilievi del Quirinale. Evidentemente non abbastanza per strappare la sufficienza.
Il punto dolente sta nell’articolo 6, che prevede da uno a tre anni di galera «per chi ostacola un pubblico ufficiale nel corso di una manifestazione». Finirebbe dentro pure chi pratica la resistenza passiva, alla Gandhi, e questo alle orecchie del presidente suona troppo da Stato di polizia.
Se il governo non cambierà le due criticità», non otterrà quindi la firma di Mattarella sotto il decreto. E a questo punto il problema è: Salvini si accontenterà di una scatola semivuota o alzerà il livello dello scontro? Basterà un «Sicurezza bis» depotenziato per usarlo come arma propagandistica? Infine, i tempi. Oggi e domani sono le ultime due date utili per convocare un Consiglio dei ministri e approvare il decreto corretto. Ma in serata Conte chiude i giochi: se ne riparla dopo il voto.
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