Addio al papà dei supermarket che aveva “conquistato” il Nord
In una delle scene iniziali del «Ragazzo di campagna», Renato Pozzetto è perso con il naso all’insù a guardare i grattacieli di quella Milano da sorseggiare, non ancora arditi e luccicanti come quelli odienri di City Life o di Porta Nuova ma già abbastanza alti da sgomentare un ingenuotto.
Pozzetto è lì a fare il «giargiana» quando finisce quasi senza accorgersene dentro la pancia di un Tir. Quell’autoarticolato ha sulla fiancata l’insegna verde e arancione dei Supermercati Brianzoli, mito di provincia della grande distribuzione ancora casereccia di quegli anni Ottanta, frutto del genio imprenditoriale della famiglia Franchini, che anche quando i negozi a marchio SB erano sessanta in tutto il Nord e c’erano anche tre ipermercati a Grandate, Castagnitto e ad Arcore (alla cui inaugurazione partecipò anche Silvio Berlusconi, che in questa storia come vedremo tornerà) e c’era anche una squadra di ciclismo professionistico con la maglia arancio e verde per cui correva l’ultimo Francesco Moser, non persero mai le radici con la loro Brianza, con il paese natale di Lentate sul Seveso. Dove ancora viveva Peppino Franchini, 74 anni, nipote di quel Felice che alla fine dell’Ottocento da un mattatoio si inventò un piccolo impero alimentare.
Peppino Franchini è morto giovedì scorso. Il suo corpo è stato trovato venerdì nella sua automobile, ferma nel parcheggio del terminal 2 dell’aeroporto di Malpensa. Non si sa se dovesse prendere un volo, che cosa gli passasse per la testa e per il cuore. La sua scomparsa era stata denunciata dalla moglie ventiquattr’ore prima. I carabinieri lo hanno cercato per qualche ora, poi lo hanno trovato morto, al volante. Hanno aperto la vettura, hanno chiamato i soccorsi ben sapendo che erano inutili. Un giallo che forse non è un giallo, perché per i medici Peppino sarebbe morto per un malore.
Peppino Franchini era un uomo riservato, di lui non esiste una foto. Ma il suo nome sarà per sempre legat alla piccola grande vicenda imprenditoriale della sua famiglia, partita da Lentate sul Seveso, che si lega a quelle più celebrate di Bernardo Caprotti (patròn di Esselunga) e di Giancarlo Panizza (del Gigante). Quella dei Franchini è più un’opera collettiva di una stirpe che aveva, che ha, il commercio nel sangue. I Supermercati Brianzoli nacquero negli anni Settanta per opera dei fratelli Peppino e Angelo e del cugino Gianfelice, rispettivamente figli di Oreste e Vittorio, a loro volta figli del capostipite di Felice «il macellaio». Rispetto a Esselunga i supermercati dei Franchini avevano un’atmosfera meno sofisticata, un design più familiare, puntavano tutto sulla convenienza e sulle offerte: il mercoledì meno 10 per cento sulle carni, il venerdì meno 9 per cento su formaggi e salumi, recitava un volantino. E la gente accorreva, perché i supermercati SB si rivolgevano a un pubblico che badava al sodo, di massaie che dovevano far tornare i conti, di operai e impiegati che contavano le «milalire».
Il periodo di massima espansione dei negozi SB fu la fine degli anni Ottanta. Poi nel 1991 un altro SB, quel Silvio Berlusconi ancora non in politica, acquistò con la sua Fininvest la catena dei supermercati arancioverdi diffusi in Lombardia, in Veneto, in Piemonte, in Emilia-Romagna, per lo più in piccoli e medi centri. Li assorbì la Standa. I Franchini non furono estromessi ma restarono con una quota minoritaria. In quel momento finì l’epopea dei Supermercati Brianzoli, dei supermercati di campagna per ragazzi di campagna.