Il governo schiva la crescita e propone “micromisure”
Roma – Tutti costretti a convergere tutti sulla linea di Giovanni Tria, impegnato a fare decollare il Pil, perlomeno sulla carta, con l’obiettivo di salvare i conti pubblici.
Ma le armi del governo già si annunciano spuntate. Ieri l’esecutivo aveva messo in agenda un vertice di sul decreto crescita, in vista del consiglio dei ministri di domani. In programma anche la messa a punto del decreto infrastrutture approvato «salvo intese» il 20 marzo.
Non era previsto che si discutesse del Def che il governo dovrebbe approvare entro il 10 aprile. Invece il documento con le previsioni su Pil e conti pubblici è diventato uno dei temi cardine, complici anche le previsioni pessimistiche del Centro studi di Confindustria.
Il ministro dell’Economia non c’era, ancora impegnato al Boao Forum for Asia a Haikou, in Cina. Tornerà per il consiglio dei ministri di domani che dovrebbe approvare il decreto. Tria si è limitato a dire che bisogna «puntare tutto sulla crescita».
Preso alla lettera dai partecipanti al vertice. Oltre al premier Giuseppe Conte c’erano il leghista Giancarlo Giorgetti e i ministri per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, alle Infrastrutture Danilo Toninelli, i vice ministri all’Economia Massimo Garavaglia e Laura Castelli, il sottosegretari Armando Siri e il capogruppo M5s al Senato Stefano Patuanelli.
Messi da parte i contrasti tra M5s e Lega il governo presenterà il decreto con le misure per la crescita predisposto da Tria, per lo più suggerite dal mondo delle imprese. A queste si aggiungono quelle che ieri hanno chiesto i Cinque stelle.
Sicuri che domani si avvierà una «fase due» dell’esecutivo, dopo quella chiusa con l’approvazione di Quota 100 e reddito di cittadinanza. C’è il rafforzamento della Nuova Sabatini per gli investimenti, un fondo per l’economia circolare (il riciclo dei rifiuti) e l’aumento della deducibilità dell’Imu dai capannoni. Poi il «marchio storico», un elenco di brevetti e brand che dovrebbe dare forza al Made in Italy.
Poco rispetto all’obiettivo ambiziosissimo che il governo affida al decreto. Non solo favorire la crescita nel medio periodo, ma garantire una spinta al Pil in grado di fare quadrare i conti pubblici già da quest’anno e, in misura maggiore, nel 2020.
Un «tentativo di rivitalizzare l’economia a partire dal secondo semestre dell’anno», ha spiegato ieri Renato Brunetta di Forza Italia. L’escamotage è «di approvare prima possibile i decreti pro-crescita, in maniera da poterli utilizzare per gonfiare esageratamente gli effetti economici da essi prodotti e dipingere quindi una situazione economica più rosea di quella attuale».
La crescita tendenziale del Def sarà fissata allo 0,2%. Ma nel quadro programmatico, quello che tiene conto degli effetti delle politiche che il governo intende approvare, sarà dello 0,6%/0,7%. Una stima molto ottimista che serve a fare aumentare il denominatore del rapporto deficit Pil e quindi a rendere meno oneroso il conto della prossima legge di Bilancio.
Non ci saranno manovre correttive, ha assicurato ieri il vicepremier Luigi Di Maio. Si parte dall’abolizione dell’Imu sui beni strumentali finanziata con l’abolizione della mini Ires, poi, forse, la flat tax. Il premier Giuseppe Conte ha spiegato che le misure per la crescita del consiglio dei ministri di domani «anticipano le misure strutturali che abbiamo in cantiere». Come dire, non basteranno a fare ripartire l’economia. Ma forse neanche a fare quadrare i conti.