La via stretta per una destra non sovranista
Il dubbio: c’è spazio in Italia per una destra non «sovranista»? La risposta non è così scontata. Se ti fermi solo al rumore di fondo dici no.
Salvini in questo momento è troppo forte. Salvini comanda, piace, ruba consensi, strappa applausi in tv, brilla sui social, detta i tempi e i temi della politica. Non solo. Si è inventato uno schema di alleanze inedito dove ha tutto da guadagnare: le doppie maggioranze. Sta al governo con Di Maio e ne rivendica la tenuta anche dopo il voto il Basilicata: «Noi e i Cinque Stelle siamo ancora la maggioranza di questo paese». Poi sul territorio, nelle regioni, rispolvera l’antico patto di centrodestra, quasi come un futuro laboratorio da ripetere prima o poi a livello nazionale. Agli altri non resta che seguirlo, come una sottomarca, o lasciarsi mangiare, con un Salvini che potrebbe perfino dire: la destra sono io. Questa è chiaramente una speranza del Capitano. Solo che per ora il suo progetto fa fatica e Salvini non ha i voti per vincere da solo. È in questa resistenza che si rifugiano le speranze di chi non vuole morire salviniano.
Lo spazio per una destra non sovranista insomma ci sarebbe. Solo che bisogna riconoscerla, battezzarla. Non può essere una fotocopia e neppure confondersi nel vecchio centrodestra. Che destra è? È una scommessa. Salvini si è preso la terra al momento più fertile per mietere elettori, mettendo il marchio su sicurezza, immigrazione, cittadinanza, legge Fornero come risposta al senso di insicurezza che preoccupa una buona parte degli italiani. La sua forza è incarnare lo smarrimento e rivestirlo di certezze. Qui e ora, in apparenza senza preoccuparsi di indicare un futuro. È immediato e questo funziona. La destra non sovranista deve invece reinventarsi una sua strada. È costretta a disegnare una visione. Non è facile. È un viaggio nel deserto, dove ritrovare quello che ha perduto, ridargli un senso. Fare i conti per esempio con un una parola che da qualche tempo ci vuole coraggio a mettere in piazza: liberale. Dici liberale, adesso, e ti guardano più o meno, forse peggio, di quando il Muro di Berlino stava ancora lì, a spezzare il mondo in due. Cosa significa essere liberali? Credere nella libertà degli individui, contro le minacce di tutti i poteri che sbandierano una maiuscola: Dio, Stato, Nazione, Popolo, Razza, Proletariato. Insomma, tutto quello che vi viene in mente che inizia con una lettera grande. È qualcosa che ha a che fare con i diritti umani e la libertà di mercato e pure con i soldi e il diritto alla vita. Non è qualcosa di astratto, perché provate voi a vivere in un posto dove se parli «male» ti sbattono in carcere o il fisco ti toglie ben oltre il 50 per cento di quello che guadagni, lavorando (ah, forse in un paesi così ci vivete). Allora, tanto per cominciare, i «sovranisti» sono liberali? Magari no. Magari, però, neppure gli italiani lo sono tanto, anche quando sacramentano contro le tasse. E questo senza dubbio è un grosso problema, meglio allora mettere da parte per un attimo la parola liberale.
Non parliamo allora di libertà, ma di chi dopo anni di fatica ha chiuso quell’azienda, quel negozio, quel laboratorio e non sa quale santo invocare. Parliamo di chi non ha un lavoro, di chi l’ha perso, di chi ha smesso di cercarlo, di chi comincia a sospettare che non arriverà mai a guadagnare mille euro al mese. Parliamo di un’Italia dove non c’è il coraggio di investire, dove in troppi non sanno come pagare i debiti e le banche non se la sentono di fare credito sul nulla, senza garanzie. Tutto questo, sia chiaro, non è responsabilità dei sovranisti, solo che resta il terreno dove Salvini fatica di più e in realtà fatica qualsiasi governo. È però una questione di priorità. Salvini ha messo al centro del villaggio la sicurezza, la destra non salviniana non può che cercare spazio politico lì. È quello che già stanno facendo Forza Italia e Fratelli d’Italia. È uno spazio enorme, ma più insidioso delle sabbie mobili, perché l’unica possibilità è uno choc fiscale, quella famosa flat tax che la parte verde del governo non riesce a portare in porto, facendo i conti con la spesa pubblica e le prediche di Bruxelles. Chi ci riesce riconquista quella che un tempo era la borghesia, sprofondata in basso nella terra di nessuno di chi campa, arrangiandosi, e svanita in alto, di chi si nasconde e fugge da ogni rischio e responsabilità in attesa di tempi migliori. La «perduta borghesia» che sta scommettendo su Salvini, ma non si fida di lasciarlo solo al comando.